Per secoli la donna è stata considerata “inferiore” all’uomo e, sebbene oggi la figura della donna sia quasi equiparata a quella maschile, non bisogna dimenticare quanto sia stata dura e lunga la lotta per giungere all’eguaglianza dei sessi. Il diritto di voto alle donne nei vari paesi del mondo non è stato riconosciuto nello stesso momento. In molti paesi il suffragio femminile fu riconosciuto prima del suffragio universale, escludendo donne appartenenti a determinate classi sociali. Nel Medioevo, in Francia ed in alcuni paesi Europei, il voto per assemblee e riunioni di città e paesi era aperto ai capi delle famiglie, indipendentemente dal sesso. Il suffragio femminile fu concesso dalla Repubblica Corsa del 1755 la cui Costituzione prevedeva un’assemblea rappresentativa nazionale eletta da tutti gli abitanti sopra i 25 anni d’età, sia donne che uomini.
Già in Francia, tra il 1780 e il 1790, Antoine Condorcet e Olympe de Gouges, sostennero l’importanza del suffragio universale come un diritto nelle elezioni nazionali nei loro scritti. Lydia Chapin coniugata Taft tra il 1756 ed il 1768 votò tre volte in una Assembla Cittadina del New England con il consenso elettorale divenendo la prima donna a votare legalmente in America.
In New Jersey, le donne insieme a “persone di diverso colore”, persero il diritto di voto nel 1807, quando la franchigia fu ristretta a maschi bianchi, in parte, dichiaratamente almeno, per combattere le frodi elettorali semplificando le condizioni di eleggibilità. Nella seconda metà del 1800 diversi paesi, colonie e stati concessero un suffragio limitato alle donne. In Francia (dopo la breve parentesi durante la Comune di Parigi) il voto alle donne fu definitivamente riconosciuto nel 1944 da Charles de Gaulle.
Nel Luglio 1848,a Seneca Falls,( Stati uniti) le attiviste Lucrezia C. Mott, Mary Ann M’Clintock e Elizabeth Cady Stanton, insieme ad un nutrito gruppo di donne (ed uomini) scrissero un documento destinato a diventare uno dei pilastri del femminismo americano in cui veniva richiesta eguaglianza di diritti e la valorizzazione femminile: La “Dichiarazione dei sentimenti” . Nel 1908 a New York, le operaie dell’industria tessile “Cotton” scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse fino all’8 marzo quando venne appiccato il fuoco allo stabile provocando la morte di 129 operaie.
Il primo paese europeo ad introdurre il suffragio femminile fu il Granducato di Finlandia, le cui riforme amministrative successive all’insurrezione del 1905 concessero alle donne finniche il diritto di votare e di presentarsi come candidate alle elezioni del 1906. Durante le elezioni parlamentari del 1907, 19 donne presero il loro posto all’interno del Parlamento Finlandese. Il diritto di voto fu esteso alle donne in Norvegia nel 1913, seguita da Danimarca, alcuni paesi australiani, la Russia (1918),il Canada, la Gran Bretagna (definitivamente nel 1928) e Turchia (1926).
In Italia ci furono una serie di tentativi dal 1861 al 1919 per essere, poi, legittimato nel 1920 durante la Reggenza Italiana del Carnaro (città governata da Gabriele D’annunzio). Abolito con le leggi fasciste è stato istituito definitivamente dal Regno D’Italia nel 1946.
Già prima dell’unità d’ Italia (17 marzo 1861) nella Lombardia austriaca, le donne benestanti e amministratrici dei loro beni, avevano la possibilità di esprimere una loro preferenza elettorale a livello locale mediante un tutore. In Toscana e in Veneto le donne partecipavano alle elezioni di politica locale ma non potevano essere elette. In Toscana un decreto datato 20 novembre 1849 sanciva il diritto di voto amministrativo per le donne attraverso una procura e dal 1850 anche attraverso una scheda inviata al seggio con una busta sigillata. Giacché il neonato Regno D’Italia sottovalutava la presenza femminile dello stato, estraniandola dalla vita politica, nel 1861 le donne lombarde reclamarono, mediante una petizione, il diritto di voto che era in loro possesso prima dell’Unità e chiedevano che venisse esteso a tutto il paese. Nel 1871 e nel 1876 i ministri Lanza e Nicotera presentarono progetti di riforma elettorale a livello amministrativo che furono approvati con forti opposizioni ma mai discussi in Senato. Nel 1877 Benedetto Cairoli propose nuovamente l’estensione alle donne del diritto di voto amministrativo limitato, appoggiato da Annibale Marazio.
Agostino De Pretis formulò due nuovi progetti di riforma elettorale a livello amministrativo che non andarono definitivamente in porto. Una prima piccola vittoria si ottenne nel 1890 quando alle donne fu concesso di votare e di essere votate nei consigli di amministrazione delle istituzioni di beneficenza. Benito Mussolini nel 1923 al IX Congresso della Federazione Internazionale Pro Suffragio promise di concedere il voto amministrativo alle Italiane a meno che non si svolgessero imprevisti e rassicurò gli uomini parlando di “conseguenze benefiche” che ne sarebbero derivate. Mussolini, inoltre, risaltò il carattere pacato delle suffragette italiane, che reclamavano il diritto di voto ma senza aggressività. Il 22 novembre 1925 il fascismo fece entrare in vigore una legge che per la prima volta rendeva le donne italiane elettrici in ambito amministrativo. La riforma podestarile entrata in vigore pochi mesi dopo ( 4 febbraio 1926) annullò ogni elettorato amministrativo locale, sostituendo al sindaco il podestà ,eletto dal governo, insieme ai consiglieri comunali. Nel luglio 1944 i Gruppi di Difesa furono riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia e nello stesso anno il giornale “Noi Donne” dava voce alle pubblicazioni ufficiali. Nel mese di agosto Democrazia Cristiana e il Partito Comunista si dimostrarono favorevoli alla questione dell’estensione del suffragio anche alle donne: in questo modo prese forma il decreto Bonomi.
Il 10 Marzo 1946 in occasione del referendum istituzionale che sancì la nascita della Repubblica italiana le donne italiane votarono per la prima volta.
Annarita Franzese