Oggi 9 settembre la chiesa celebra san Pietro Claver, nacque il 25 giugno 1581 a Verdú (Spagna), figlio di un contadino della Catalogna, si laureò nell’Università di Barcellona. A 25 anni incominciò il noviziato nella Compagnia di Gesù a Tarragona. Mentre studiava filosofia a Maiorca nel 1605, il padre, Alfonso Rodriguez, portinaio del collegio, pensando di essere ispirato da Dio, ritenne di conoscere quale dovesse essere la missione futura del suo giovane confratello e da quel momento in poi non smise mai di esortarlo a partire per evangelizzare i territori spagnoli in America. Inizia gli studi di teologia a Barcellona e li completa a Cartagena dove diventa sacerdote nel 1616. Pietro obbedì e nel 1610 sbarcò a Cartagena (Nueva Granada detta poi Colombia) dove per 44 anni fu missionario tra gli schiavi afroamericani in un periodo in cui ferveva la tratta degli schiavi. Qui sbarcano migliaia di schiavi neri, quasi tutti giovani: ma invecchiano, muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti e per l’abbandono quando sono invalidi. Educato alla scuola del missionario Alfonso de Sandoval, Pietro si dichiarò Aethiopum semper servus ovvero “schiavo degli africani per sempre”; da persona timida e insicura delle proprie capacità, diventò un organizzatore caritatevole, ardito e ingegnoso. Ogni mese, quando veniva segnalato l’arrivo di nuovi schiavi, stipati nelle stive delle navi, Claver usciva in mare con il suo battello per incontrarli; portando loro cibo, soccorso e conforto, guadagnandosi così la loro fiducia. Impara la lingua dell’Angola, parlata da molti di loro, e crea un’équipe di interpreti per le altre lingue e li fece diventare dei catechisti. Mentre gli schiavi stavano rinchiusi a Cartagena, aspettando di essere acquistati e destinati a differenti località, Claver li istruiva e li battezzava. Questo lavoro causò a Claver difficili prove e i mercanti di schiavi non erano i suoi soli nemici. Fu accusato di incauto zelo e di avere profanato i sacramenti, dandoli a creature che “a malapena possedevano un’anima”. Le donne della buona società di Cartagena si rifiutavano di entrare nelle chiese dove Claver aveva riunito i suoi “negri”. I superiori di Claver furono spesso influenzati dalle molte critiche che arrivavano ai loro orecchi. Nondimeno Claver continuò la sua missione, accettando tutte le umiliazioni e aggiungendo penitenze rigorose alle sue opere di carità. Gli mancava l’aiuto degli uomini, ma riteneva di avere forza da Dio. Si ammala, forse di peste, sopravvive, ma senza più forze, trascinandosi allo stesso modo dei vecchi schiavi. Deve sopportare i maltrattamenti del suo infermiere: un nero. Anche in queste cose bisogna scorgere la volontà di Dio. Muore l’8 settembre 1654 a 74 anni.
9 settembre: beata Maria Toribia, conosciuta come Maria de la Cabeza, nacque a Caraquiz in una data imprecisata tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Maria a Torrelaguna (Spagna) incontrò il giovane sant’Isidoro Agricola che sposò, la coppia visse nella seconda metà dell’XI secolo in una Spagna occupata dagli arabi. Isidoro che non sapeva né leggere né scrivere, dedicava molto tempo a “parlare con Dio”, senza venir mai meno ai suoi doveri terreni sapeva ricavare nei ritagli di tempo della giornata dei momenti di intensa preghiera. In questo esercizio di preghiera e carità, la moglie Maria lo segue con sempre maggior entusiasmo, avanzando entrambi sulla strada della perfezione sostenendosi e aiutandosi a vicenda. Pur vivendo una vita austera in odore di santità, ebbero a sopportare anch’essi i dolori ineluttabili della vita, come quello della perdita del loro unico figlio ancora bambino, che la tradizione popolare le attribuisce il nome di san Illán. Uno dei più noti miracoli della coppia di santi è quella in cui un bambino cadde in un pozzo profondo, Maria pregò il marito di salvarlo e miracolosamente l’acqua del pozzo salì fino al marciapiede, portando in salvo il bambino. Isidoro muore nel 1130 e viene seppellito senza particolari onori, ma anche dalla terra ove lui è deposto continua “a fare la carità” elargendo grazie e favori a chi lo invoca.