Da anni ha fatto della lotta agli sprechi alimentari una delle sue tante battaglie, alimentata dalle cifre stratosferiche e a dir poco inquietanti di un fenomeno che non conosce soste né coscienza sociale. Secondo stime che provengono da ONG internazionali sono, infatti, 1,3 miliardi le tonnellate di cibo che vanno buttate ossia circa un terzo dei prodotti alimentari che finiscono in cucina. Basti pensare che solo nei paesi industrializzati corrispondono a 222 milioni le tonnellate di cibo che vanno nella pattumiera, una quantità equivalente a tutta la produzione alimentare dell’Africa sub-sahariana. E sono tre i livelli di spreco: quello della trasformazione, della distribuzione ed infine quello domestico (o che avviene nella ristorazione) che però rappresenta nell’ordine solo l’ultimo nella speciale classifica dello sperpero. Ed è stata l’idea di Jenny Dawson Costa quando ha creato il marchio “Rubies in the Rubble” (letteralmente in italiano “Rubini nelle Macerie”) – che utilizzava solo prodotti scartati da grossisti e mercati ortofrutticoli per preparare le sue confetture, di marmellate e chutney (la tipica salsa agrodolce presente su tutte le tavole di sua Maestà) – ad avviare una piccola rivoluzione nel settore alimentare d’Oltremanica. Correva l’anno 2012, e le conserve di questa geniale “inventore” alimentare, venivano commercializzate solo in pochi mercatini per una clientela di accorti consumatori. Al di là del chiaro intento etico con cui si avviò il “progetto” di “Rubies in the Rubble”, in principio questo marchio era stato immesso in commercio come un prodotto di alta qualità, ad un costo superiore a quello dei vasetti analoghi realizzati senza “avanzi”. Tuttavia l’utilizzo degli scarti, quasi subito ha tramutato un prevedibile elemento di scetticismo in un sorprendente strumento di marketing, favorendo il successo dei prodotti. A soli pochi anni dalla sua fondazione, l’azienda non riesce più a far fronte all’approvvigionamento sui livelli iniziali, ma è stata costretta, per la crescente domanda, a stipulare accordi commerciali direttamente con aziende agricole, a prezzi ovviamente ridotti, di tutta quella frutta e verdura che per ragioni puramente estetiche (di forma o colore) verrebbero scartate dai dettaglianti. Vegetali assolutamente commestibili che altrimenti verrebbero scartati per poi essere mandati al macero. Insomma Dawson Costa ha realizzato una vera e propria start up dell’alimentare. Un’idea che in Italia sembrerebbe di difficile realizzazione per un sentire comune che è poco orientato verso l’idea di ciò che non è “bello” anche se è “buono”, ma ora più che mai, che si sono avviate iniziative legislative contro lo spreco alimentare sarebbe auspicabile che anche le nostre aziende dell’agroalimentare prendano in considerazione questa possibilità perché non è tollerabile che nel Nostro Paese si continuino a sprecare tonnellate di cibo ogni giorno nella dominante noncuranza ed insensibilità della platea dei consumatori.