di Antonio Fusco
In Italia è molto diffusa la leggenda della Chioccia con i pulcini d’oro, un favoloso tesoro, nascosto in grotte, tombe, pozzi, cunicoli sotterranei di torri e manieri, e, più raramente, in un bosco. Di solito si favoleggia che, per impadronirsene sia necessario procedere a riti magici che, il più delle volte, prevedono un infanticidio. Con qualche variante la storia si tramanda in molte località, tra le quali ricordiamo: Amendolara (CS), Novara di Sicilia (ME), Nocera Superiore (SA), Monte Conero ( AN), Manduria (TA), Lucca, Sesto Calende (VA), Cerreto di Spoleto (PG), Porto Santo Stefano (GR), Roccabernarda (CZ). La leggenda si riscontra anche a Nola, ed è ricordata ancora da molte persone, soprattutto anziane, come ho avuto modo di verificare, e, prima che cada completamente in oblio, voglio fermarla nella memoria nolana.
A me la raccontarono più di una volta mia madre e mia nonna, quando le serate d’inverno, non monopolizzate dalla televisione, si trascorrevano intorno al braciere, a mangiare castagne abbrustolite nella brace ed a narrare racconti di ogni genere, in cui spesso figuravano i fantasmi, la malombra e la bellambriana, che a noi bambini suscitavano tanto interesse e tanta paura di andare a letto.
Nella città dei Gigli, la chioccia con i pulcini d’oro, ovvero la voccola cu e pulicini, si troverebbe in un cunicolo sotto la prima tomba romana che si incontra nella Contrada Polveriera, venendo dal centro. Anche qui, per impossessarsene, bisognerebbe sacrificare un’anima innocente e, a quanto ci risulta, nessuno ancora ha tentato l’impresa.
Circa la nascita del racconto gli studiosi propongono ipotesi differenti da luogo a luogo, collegandola spesso ad altre mitiche storie, ma non tengono conto del fatto che essa, essendo presente in tutta l’Italia, deve avere avuto origine da una tradizione diffusa e comune. Si può pensare che le fantasie popolari su tesori nascosti potrebbero essere collegate a reminiscenze cultuali di Plutone, dio delle sotterranee miniere e dei metalli preziosi, e quindi anche della ricchezza demonizzato poi dalla cultura cristiana (avidità – sacrificio di un bambino).
L’inserimento nei favolosi tesori anche della preziosa famigliola di pennuti, avvenne probabilmente prima dell’anno Mille, al tempo dei Longobardi, forse perché ritenuta, nell’immaginario collettivo, un simbolo di prosperità, di abbondanza. Certo è che l’unica e preziosa Chioccia con i pulcini esistente è la scultura di argento dorato, notevole prodotto di oreficeria longobarda, appartenuta alla regina Teodolinda e conservata attualmente nel Duomo di Monza.
Castello Rotto e il tesoro dei briganti e la pittoresca apostrofe POSA CA PESA diretta ai ladri di ogni risma
Oltre alla leggendaria Chioccia con i pulcini d’oro, la ricca e variegata cultura popolare nolana conserva la memoria di un altro favoloso quanto imprendibile tesoro nascosto, composto di una grande quantità di monete d’oro, che si trovava, o si troverebbe, in un pozzo di Castello Rotto, il sito ubicato alle spalle della Villa Comunale, in direzione sud-occidentale, nella zona in cui sorgevano il teatro romano ed altri edifici dell’antica città, i cui anfratti sotterranei, nel passato bui, misteriosi ed in parte praticabili, potrebbero aver dato origine alla leggenda.
Si tramanda che, in un indeterminato tempo dei briganti, un feroce capobanda fece occultare in questo fantomatico pozzo alcuni forzieri pieni di marenghi, e, per farli custodire, uccise personalmente uno della sua masnada e lo gettò nel pozzo, affinché la sua anima vi rimanesse a perenne guardia.
I pochi ardimentosi che, servendosi di una corda ben legata ad un albero, si calavano nel pozzo allo scopo di impossessarsi delle monete, erano costretti a risalire precipitosamente in preda al terrore, perché appena allungavano le mani sui forzieri, sentivano la voce dello spettro del brigante sacrificato, che li apostrofava minaccioso dicendo, “Posa ca pesa!”.
Un’altra fantasiosa versione della stessa storia riporta che un contadino, praticando esorcismi e magie, sia riuscito a portare via, in più riprese, una cospicua quantità di monete, urtando la suscettibilità dello spettro, che, impedito nella sua funzione di custode dai riti magici, gli disse: “Posa ca pesa! Te n’ha pigliate già sette cofani e miezo, e manco t’abbuffi? Posa ca pesa!”.
Il detto è rimasto nel linguaggio popolare nolano, ed ancora oggi, a chi è sorpreso a prendere cose non sue, spesso si dice: “Posa ca pesa! ”.