Mercoledì 8 Febbraio, presso la chiesa di San Giovanni in Avella, si terrà una santa messa in onore di Santa Bakhita, in occasione del settantesimo anniversario della sua morte.
Proclamata Santa il 1º ottobre 2000 da Papa Giovanni Paolo II, originaria di Olgossa, villaggio del Darfur nel Sudan (Africa), è “conosciuta” come “Testimone di Speranza.”
All’età di sette anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa “fortunata”.
Vittima di soprusi, abusi e violenze (sia morali che fisiche) subì, inoltre, un “tatuaggio cruento” mentre si trovava a servizio di un generale turco: le furono disegnati, circa, un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, successivamente inciso con un rasoio per poi essere coperti di sale, tutto con lo scopo di creare cicatrici permanenti.
Nella capitale Sudanese, nel 1882, fu acquistata da Callisto Legnani, console italiano. Per 2 anni visse in casa di quest’ultimo come domestica, non più come schiava. Nel 1885 fu donata ad Augusto Michieli che “ l’assunse” come bambinaia per la figlia.
Nel 1888 i coniugi Michieli si trasferirono in Africa, a Suakin, dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita, in affidamento, presso l’Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena (colui che intraprende il percorso di fede necessario per essere ammessi al Sacramento del Battesimo ) e cominciò a ricevere così un’istruzione religiosa.
Quando la signora Michieli ritornò dall’Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest’ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con le suore Canossiane. La signora Michieli fece intervenire il Procuratore del Re, venne coinvolto anche il cardinale patriarca di Venezia Domenico Agostini, i quali insieme fecero presente alla signora che in Italia non erano riconosciute le leggi di schiavitù: il 29 novembre 1889 Bakhita fu dichiarata legalmente libera.
Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. Il 7 dicembre 1893 entrò nel noviziato dello stesso istituto e l’8 dicembre 1896 pronunciò i primi voti religiosi.
Nel 1902 fu trasferita in un convento dell’ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Nel 1922 le venne assegnato l’incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente; così iniziarono a chiamarla “Madre Moréta”.
Il suo personale carisma e la sua fama di santità vennero notati dai suoi superiori, che a più riprese le chiesero di dettare le sue memorie. Morì l’8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia.
La sua salma riposa nel Tempio della Sacra Famiglia del convento delle Canossiane di Schio.
Annarita Franzese