a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 8 giugno la chiesa celebra san Medardo di Noyon, nacque a Salency (Francia) attorno al 457 d.C., da famiglia nobile franca. Il padre, Nectar o Nectardus, fu uno dei nobili Franchi che conquistarono la Gallia con Childerico I e che qui conobbe e sposò Protagia, appartenente ad una nobile famiglia gallo-romana e convertitasi al cristianesimo per sposarlo. Sarebbe fratello di san Gildardo, vescovo di Rouen. La sua caratteristica è che visse la carità cristiana fino al punto da essere il benefattore e il protettore dei ladri dei suoi stessi beni, perché è stato spesso visitato dai ladri ed ha stabilito con questa “categoria” uno speciale rapporto di carità e di astuzia, alcuni suoi miracoli sono veramente stupefacenti. Una notte, un ladro gli aveva rubato dell’uva e non era più riuscito a ritrovare la strada per scappare. Fu preso, ma Medardo l’indomani lo liberò. Un giorno, Medardo si lasciò portare via un’arnia con le api rese docili da lui stesso. Intrapresa presto la strada del sacerdozio, fo ordinato a 24 anni. Nel 532 moriva il suo compagno sant’Eleuterio vescovo di Tournay e il clero e il popolo non vollero altro vescovo che Medardo, fu creato vescovo di Tournay senza lasciare il vescovado di Noyon, unendo nel 534 le due sedi vescovili. Il vescovato durò dal 530 fino al 545. Medardo contribuì all’evangelizzazione della Francia, opera che venne tutta affidata all’apostolato dei vescovi successivamente alla conversione del re dei Franchi Clodoveo. All’epoca del vescovato risale l’episodio più importante legato alla vita di Medardo: la santa regina Radegonda, moglie di Clotario I, re dei Franchi, la quale, dopo aver abbandonato il marito reo di fratricidio, fuggì dalla corte e si presentò a Medardo, chiedendogli di ritirarsi in convento e prendere il velo. Medardo, senza temere la reazione del re, la accolse e la consacrò diaconessa, così sfidando la collera del re e dei feudatari che lo incolpavano di “rubare” al re la sposa legittima. Al contrario di quanto atteso, da allora il re mostrò sempre ammirazione per Medardo, tanto che alla sua morte, nel 560, quando seppe che il santo stava morendo, corse al suo capezzale e implorò I’ultima benedizione, poi lo fece seppellire nella capitale Soissons dove negli anni successivi verrà costruita l’abbazia di San Medardo. Secondo studi recenti, Medardo non fu vescovo di Noyon bensì di Viromandesium (odierna Saint Quentin) e l’inizio del suo vescovato viene posticipato nel 545 per finire nel 560. Morì a Noyon l’8 giugno 560; patrono dei ladri e dei malfattori.
8 giugno: san Vittorino da Pioraco, nacque nel IV secolo, le poche notizie della sua vita derivano dagli Acta Sanctorum Severini et Victorini scritti tra i secoli VII-IX, da una famiglia nobile, con il fratello san Severino aveva rinunciato alla vita di ricchezza: distribuirono la loro ricchezza per ritirarsi in una vita eremitica nelle grotte di Montenero, nei pressi di Septempeda. Più tardi, Vittorino volle stare da solo e andò in una grotta sul Monte Gualdo vicino Pioraco. Per evitare la tentazione della carne, la tradizione dice che il diavolo, come una donna, ha provato a chiedere un ricovero notturno. Per fuggire proprio da una di queste fece penzolare il suo corpo ad un albero con le mani tra i rami, come in preghiera, restò in questa posizione per molto tempo, gli dava da mangiare un uccello, finché non venne a liberarlo il fratello, san Severino anche lui dedito alla vita eremitica. Papa Vigilio li nominò vescovi di due distinte sedi: Vittorino divenne vescovo di Camerino, mentre il fratello Severino divenne vescovo di quella che allora si chiamava Septempeda, in seguito chiamata San Severino Marche. Morì l’8 giugno 538 nella sua caverna.
8 giugno: beato Nicola da Gesturi (al secolo Giovanni Angelo Salvatore Medda), nacque a Gesturi (Sardegna) il 5 agosto 1882, da una famiglia di contadini di umili condizioni, ma onesti e devoti. A 5 anni gli morì il padre e a 13 la madre. Il ragazzo fu così affidato al suocero, ricco possidente del paese, di sua sorella che lo tenne come servo in cambio di vitto e alloggio. Quando questi morì, lavorò, alle stesse condizioni, in casa della sorella, lavorando nei campi del cognato. Non fu per necessità che fece questa scelta; infatti avrebbe potuto usufruire della sua parte dell’eredità paterna, a cui volle invece rinunciare, vivendo umilmente e devotamente. Il suo spirito di preghiera lo portava in Chiesa ogni volta che i suoi doveri glielo permettevano, per trascorrere intere ore davanti a Gesù Sacramentato. Il suo amore per i più poveri e la mortificazione in cui viveva furono lo stimolo ad aspirare alla vita sacerdotale, ma la povertà era un ostacolo insormontabile. Nel marzo 1911 Giovanni bussò al convento dei Frati Minori Cappuccini di Cagliari presentato da un’ottima relazione del parroco di Gesturi, e chiese di esservi ricevuto come fratello laico, ma fu accettato solo come terziario, volendo prima verificare la serietà della vocazione di questo giovane, arrivato in convento dopo una vita dedicata al lavoro dei campi. Dopo due anni, il 30 ottobre 1913 vestì l’abito cappuccino prendendo il nome di fra Nicola da Gesturi. Trascorsi otto mesi fu trasferito al convento di Sanluri per finire l’anno di noviziato dove, il 16 febbraio 1919, emise la professione solenne dei tre voti della vita evangelica. Dopo la professione fu affidato al convento di Sassari come cuoco, ma fu presto esonerato dall’incarico per le lamentele dei confratelli che non apprezzavano la sua cucina. Per qualche tempo fu mandato prima nel convento di Oristano e poi nuovamente nella casa di noviziato di Sanluri. Il 25 gennaio 1924, viene inviato al convento di Buoncammino a Cagliari, nello stesso convento dove aveva vissuto sant’Ignazio da Laconi. E come sant’Ignazio anche Nicola è incaricato di fare la questua per il convento, percorrendo a piedi, con pioggia o sereno, freddo o caldo, nelle campagne e per le strade della città, chiedendo la carità «a santu Franciscu». Dopo i primi tempi, però, Nicola non dovette mendicare più nulla, perché i cagliaritani avevano compreso che «frate Silenzio», come lo avevano soprannominato, era una persona eccezionale e perciò le offerte gliele davano, prima ancora che lui le chiedesse. Il suo silenzio, era silenzio che parlava, e parlava di Dio, dietro questo silenzio egli nascondeva le sue eroiche virtù: la perfetta obbedienza, la profonda umiltà, l’assoluta povertà. Durante la Seconda Guerra Mondiale, tutti quelli che potevano se ne allontanavano. Anche le autorità civili ed ecclesiastiche si erano trasferite altrove. Ai civili che non avevano potuto lasciare la città pensarono quattro frati cappuccini del convento di Buoncammino, tra i quali Nicola. Tolta la clausura, il convento ospitò sfollati, derelitti, orfani, anziani rimasti soli. Nicola si prodigava per sfamare, aiutare e consolare tutti e non solo in convento. Dopo ogni bombardamento egli accorreva sui luoghi colpiti per aiutare i feriti, consolare i danneggiati e seppellire i morti. Il 1 giugno 1958, stremato nel fisico, ruppe il silenzio e chiese di essere esonerato dall’obbedienza della questua. Il giorno dopo Nicola si aggravò e il medico gli diagnosticò un’ernia strozzata. Tra i dolori atroci, che durarono quattro giorni, esortava alla preghiera, all’obbedienza alla volontà di Dio, all’amore alla croce, se stesso e i confratelli che lo vegliavano, spirò stringendo tra le mani il Crocifisso. Morì l’8 giugno 1958, a 76 anni.