a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 12 luglio la chiesa celebra san Giovanni Gualberto, nacque a Villa di Poggio Petroio (Firenze) nel 995, da una nobile famiglia e malgrado un’educazione marcatamente religiosa, la sua gioventù fu caratterizzata da dissolutezze d’ogni genere. Un’esperienza sconvolgente fece cambiare la sua vita: un parente assassinò suo fratello Ugo, e secondo i costumi del tempo Giovanni fu chiamato a vendicarne la morte con l’uccisione del rivale. Giovanni giurò vendetta e si mise alla ricerca dell’omicida, ma quando il suo avversario si inginocchiò e messo le braccia in forma di croce invocò pietà in preda al terrore, Giovanni gettò la spada e lo perdonò. A quel punto Giovanni, secondo la tradizione, sarebbe entrato nel monastero di San Miniato al Monte, alle porte di Firenze, e avrebbe visto il crocifisso che dalla croce abbassava il capo verso di lui come segno di approvazione. Colpito dall’accaduto, il giovane chiese all’abate del luogo di entrare a far parte di quella comunità e resistette a ogni tentativo del padre di ricondurlo nel mondo. Giovanni, a 18 anni, maturò la decisione di farsi monaco all’interno del monastero benedettino di San Miniato. Entrato a San Miniato, Giovanni vi risiedette fino alla scoperta dell’elezione simoniaca dell’abate Uberto per opera del vescovo di Firenze, Attone. Consigliatosi con l’eremita Teuzone, Giovanni denunciò l’abate e il vescovo sulla piazza del Mercato Vecchio. Non essendo incline ai compromessi e non riuscendo ad allontanarli dalla città preferì mettersi alla ricerca di un nuovo monastero per servire autenticamente Cristo. Partito alla volta della Romagna, dopo aver peregrinato per diversi monasteri, Giovanni fece sosta a Camaldoli, dove ebbe modo di osservare la forma di vita lì adottata. L’ideale della vita cenobitica secondo i principi della regola benedettina spinse dunque Giovanni a lasciare l’eremo di Camaldoli e a fondare, con l’incoraggiamento dello stesso priore, un nuovo istituto. Giovanni giunse, nel 1036, a Vallombrosa, un luogo solitario, e qui stabilì la sua dimora, unendosi a due eremiti già presenti sul posto, Paolo e Guntelmo. Qui costruì un monastero e fondò la Congregazione vallombrosana. Degli ultimi anni di vita di Giovanni non si sa molto. Ritiratosi nell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano, Giovanni, ammalato, convocò gli abati di tutti i monasteri, rivolse loro le ultime raccomandazioni, li benedisse e raccomandò ai suoi monaci l’obbedienza all’abate Rodolfo, che egli designò come suo successore. Morì il 12 luglio 1073; patrono del Corpo forestale dello Stato.
12 luglio: san Leone I abate, nacque a Lucca. Divenne uno dei primi discepoli di sant’Alferio Pappacarbone, il nobile eremita salernitano, già da quando questi viveva ancora nella sua grotta; la sua bontà, l’umiltà, la pietà che lo distinguevano fecero sì che il vecchio eremita Alferio, lo volle come suo successore alla guida della nascente abbazia della Trinità di Cava, da lui fondata, in contrasto con la tradizione che considerava i beni dei monasteri come proprietà della famiglia del fondatore. Poco dopo la morte di sant’Alferio, probabilmente appartenente proprio alla famiglia Pappacarbone, irruppe nel monastero e scacciò l’abate Leone, ma poi si allontanò restituendo la carica che aveva usurpato. Tale episodio spiegherebbe l’iniziale diffidenza che l’abate Leone ebbe verso Pietro Pappacarbone, nipote di Alferio, quando questi bussò al monastero cavense per indossare il saio benedettino. Leone nutrì particolare devozione alla Madonna e fu amorevole verso i poveri e gli sventurati. Avendo poche disponibilità economiche, sovente questo amore lo indusse a caricarsi di fascine che poi andava a vendere a Salerno per soccorrere i poveri. Negli ultimi anni della sua vita, ormai vecchio e malandato, Leone si affiancò nel governo del monastero san Pietro Pappacarbone, nipote di sant’Alferio, con il titolo di decano. Leone lasciò definitivamente il governo nelle mani del suo successore Pietro spegnendosi poco dopo, fu sepolto nella grotta Arsicia accanto al suo maestro sant’Alferio. Morì il 12 luglio 1079.
12 luglio: venerabile Francesco Antonio Marcucci, nacque a Force (Ascoli Piceno) il 27 novembre 1717, da una nobile famiglia ascolana. Il 26 aprile 1731 morì la madre e da allora come guida femminile Francesco Antonio ebbe la contessa Francesca Gastaldi, moglie dello zio paterno Domenico. Compì la fase iniziale degli studi nelle scuole religiose di Ascoli Piceno. Nel 1735 si rafforzò nella fede grazie alla guida di padre Lorenzo Ganganelli (futuro papa Clemente XIV) e divenne profondo devoto del culto dell’Immacolata Concezione. Manifestò in famiglia il desiderio di prendere i voti, ma incontrò l’avversione del padre e dello zio che, tuttavia, fu presto mitigata grazie alla mediazione della zia Francesca. Si distinse subito per l’abilità di predicatore, e la sua prima missione al popolo si svolse dal 25 gennaio al 2 febbraio 1739, nella chiesa di San Giovanni Battista ad Appignano (Ascoli Piceno); a fortificarlo nell’impegno missionario intervenne l’incontro ad Ascoli il 5 aprile 1739 con san Leonardo da Porto Maurizio. Il 25 febbraio 1741 fu ordinato sacerdote. L’8 dicembre 1744 Francesco Antonio fondò ad Ascoli la Congregazione delle Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione dedita, oltre che alla preghiera, all’educazione delle giovani per cui, il 6 marzo 1745, aprì una scuola pia nei locali della congregazione sovvenzionandola con fondi dal suo patrimonio familiare. Il 30 maggio 1755 conseguì il titolo di dottore in utroque iure presso l’Università di Fermo. Nel 1769 morì il padre e, rimasto unico erede di una larga fortuna, la devolvé completamente in favore della congregazione. Il 6 agosto 1770 Clemente XIV lo nominò vescovo di Montalto delle Marche. Recatosi a Roma per la consacrazione, vi conobbe san Paolo della Croce, con il quale iniziò un rapporto di devota amicizia. Il 19 gennaio 1774, pur rimanendo vescovo di Montalto, fu nominato vicegerente del cardinale vicario, per cui dovette trasferirsi a Roma, da dove continuò a seguire la sua diocesi, che visitò per alcuni mesi quasi ogni anno. Prescelto come consigliere e confessore, dal 27 febbraio al 13 giugno 1782 accompagnò Pio VI a Vienna nell’infruttuoso viaggio diplomatico intrapreso per indurre l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena a una più mite politica di riforme religiose. Poco dopo il ritorno a Roma, Francesco Antonio cominciò a denunciare problemi di salute; il 12 aprile 1786 rinunciò alla carica di vicegerente ed ebbe il permesso di ritirarsi a Montalto, dove, nel 1789, fu colpito da un primo attacco di paralisi. Ripresosi abbastanza bene, ottenne licenza papale per trasferirsi ad Ascoli Piceno, dove gli sarebbe stato possibile ricevere al meglio l’assistenza di cui abbisognava; non soggiornando più nella propria diocesi, manifestò l’intenzione di rinunciare alla carica di vescovo, ma il papa insistette affinché la mantenesse, con il solo obbligo di visitare Montalto in occasione delle funzioni religiose più solenni. Continuò quindi l’attività pastorale in forma più ridotta e, successivamente, dal giugno 1792 al maggio 1795, espletò anche le funzioni episcopali per la diocesi di Ascoli rimasta vacante. Il 7 maggio 1798 ebbe un nuovo attacco di paralisi; peggiorò il 21 giugno. Morì il 12 luglio 1798, a 81 anni.