Correva l’anno 2008 quando, dopo aver visto El Topo, Fando y Lis, La Montagna Sacra, Santa Sangre e addirittura l’evitabile Ladro dell’Arcobaleno cercavo in ogni modo di procurarmi l’ultimo suo film che mi mancava alla lista, Tusk, una pellicola del 1980 reperibile solo in francese e qualità video da vhs scassata, e che non sembrava neanche un granché in quanto a significato e sceneggiatura.
Quando poi, un bel giorno scopro, mentre mi ero distratta un attimo presa da altre cose, che dei vari progetti annunciati da Jodo negli ultimi anni non ce n’era neanche l’ombra, ma in compenso erano usciti nel 2013 e nel 2016 i primi due episodi tratti da La danza della realtà, la sua autobiografia del 2006 e che ovviamente avevo letto. La danza della realtàera un libro davvero buono, cosa piuttosto rara da verificare e poi ammettere quando si acquista un libro di un autore che non sia ancora morto. Inoltre nela trasposizione da vita vera a libro e successivamente da libro a film non si incorre poi nei soliti problemi che hanno i film tratti dai libri: qui autore del libro e regista del film coincidono, e così anche le “visioni” contenute in entrambi.
Questi due film-autobiografia, dai titoli “La danza della realtà” e “Poesia senza fine” sono uno il seguito dell’altro, ma affrontano due periodi slegati dell’autore risultando così completamente indipendenti l’uno dall’altro e diversi nei temi. E non coprendo affatto l’intero libro, ma solo le prime due parti, lasciano presagire che ne seguiranno altri. Per quanto visionari, essi sono anche intimi, religiosi, meno aspri e ribelli delle pellicole giovanili come El Topo e La montagna sacra. Nel bene e nel male, sono anche meno epocali e sembra che Alejandro voglia metterci la sua vita nelle nostre mani, per poi tirare con noi le somme. Non sto dicendo che questi due film siano convenzionali o facili da digerire, sia chiaro: sono pieni delle bizzarrie del poeta-scrittore-psicomago cileno, ma si tratta di stranezze più malleabili, come quelle di Santa Sangre, per intenderci. Non mancano scene capaci di lasciare perplesso lo spettatore bigotto di turno, ma nel complesso i due film risultano più che comprensibili. E anche se non cambieranno la storia del cinema, sono eccellenti, al punto che dopo aver visto questi potrebbe anche passarvi la voglia di vedere dell’altro per sei mesi.
Il primo dei due, La danza della realtà (che è il titolo sia del libro che del primo film), è stato presentato al Festival di Cannes nel 2013 e copre tutta la parte dell’infanzia dell’autore. E’ immaginifico, mostra come gli occhi di un bambino possano confondere realtà e sogno, al punto da vivere, costantemente, in un mondo ibrido delle due cose. Questo è possibile e non è un escamotage letterario o cinematografico, ed è vero quanto è vero Jodorowsky. La sua città di origine, Tocopilla, è di una bruttezza che fa male, e al tempo stesso il suo malessere diventa una causa di bellezza. E’ dalla bruttezza che nascono i sogni, le aspirazioni, il tormento creativo. Quando in un cumulo di macerie, sbagliate, si riesce a vedere qualcosa di più, è lì che parte il processo della creazione.
Il secondo, Poesia senza fine (Poesia sin fin, Endless Poetry), anche questo presentato al festival di Cannes (nel 2016) è imbevuto di un’atmosfera diversa, quella cupa della notte e delle prime relazioni sentimentali di Alejandro. L’incontro con Stella, e al contempo con la poesia (Stella Dìaz Varìn è una poetessa cilena realmente esistita) è l’elemento portante della prima parte del film. Poesia sin fin suggerisce, nella sua bellezza e nella miriade di frasi degne di nota nei dialoghi, lo spunto per avvicinarsi anche ad altri due poeti cileni, Nicanor Parra e Enrique Lihn, con cui Jodorowsky strinse amicizia. Era proprio la sua Stella che aveva ispirato il famoso poema “La Vipera” di Nicanor Parra, e inizialmente Jodorowsky rimase molto colpito dal fatto di poter conoscere dal vivo Nicanor, che considerava una personalità irraggiungibile.
La poetessa cilena Stella Dìaz Varìn (1926-2006)
Nicanor Parra era della generazione precedente rispetto a Jodorowsky. Nato nel ’14 (Jodorowsky è del ’29) ed esponente dell’antipoesia, si contrapponeva alla poesia classica cilena che in quel periodo era rappresentata da Neruda. Jodorowsky, avvicinatosi all’ambiente creativo di Tocopilla tramite il cugino, conosce così il suo mito, Nicanor Parra, e la sua prima fidanzata, Stella (la quale gli dirà: “Tu sei vergine. Tu sei puro, come un pierrot romantico.”)
Nicanor, docente universitario di matematica e fisica, compare anche in una parte cruciale alla fine del film. Interpellato da Jodorowsky che lo cerca per chiedergli che cosa fare della propria vita, Nicanor gli darà un consiglio che Alejandro non ascolterà affatto. Nicanor Parra sosteneva infatti che Alejandro dovesse trovarsi un lavoro normale, come lui stesso aveva fatto: un lavoro come quello di professore che gli avrebbe permesso di sopravvivere e solo parallelamente dedicarsi alla poesia. Poesia senza fine si conclude con il rifiuto categorico di questo consiglio e con Alejandro che finalmente lascia l’oppressiva città di Tocopilla per recarsi in Europa, dove poi sappiamo che troverà numerose strade, e la sua fortuna.
L’altro poeta cileno realmente esistito che appare in Poesia senza fine è Enrique Lihn, che diventa amico di Alejandro nella seconda parte del film, dopo la conclusione della storia con Stella. Alejandro stima moltissimo la poesia di Lihn, e decide per questo di entrare in contatto con lui. Fra i due nasce una splendida amicizia, dovuta ad una chiara sintonia, e ravvivano la città di Tocopilla con il loro modo di vivere e di intendere la vita: essi sono poeti, poeti in azione (“poetas en acciòn). Il loro modo estroso di agire è quello di un surrealismo che entra a far parte della quotidianità, molto simile tra l’altro a certe azioni futuriste di quel periodo. Hanno una lite solo nel momento in cui Lihn e la sua ragazza rompono. Jodorowsky, dopo averla salvata da un momento di grave sconforto, consuma un rapporto con lei. “Il sangue è sacro”, dirà, constatando che la ragazza ha le mestruazioni. Una ragazza tra l’altro, affetta anche da nanosomia: la deformità è un’altra costante dei film di Jodorowsky.
Sia di Nicanor Parra che di Lihn tradotto in italiano non è reperibile quasi nulla. Sembra che la poesia cilena in Italia non vada molto oltre Neruda, a meno che non ci si voglia dedicare in autonomia alle traduzioni dallo spagnolo. Neanche di Stella Diaz Varìn non è facilmente reperibile niente. L’unico libro disponibile attualmente in commercio nelle librerie convenzionali è un volume di Medusa Edizioni di Nicanor Parra, “Le Montagne Russe“.
“Io ti perdono, padre, tu mi hai dato la forza di sopportare questo mondo dove non esiste la poesia.”
Forse Jodorowsky aveva ragione, dobbiamo sopportare un mondo dove non esiste la poesia, accettare esso e le sue mancanze, così come la mancanza della poesia cilena nelle librerie. La poesia non esiste, è fittizia. Ma se la realtà imposta è priva di poesia, non per questo è necessario vivere in essa. Non è necessario abbandonare il nostro mondo, quello che ci è più congeniale, che abbiamo creato, al quale sentiamo di appartenere. E’ un mondo che anche se non esiste davvero, come la poesia, straborda all’esterno. Anche se si trattasse solo di un sogno, di un limbo tra la realtà e l’immaginario, questo mondo alla fine va a contaminare in maniera tangibile il reale.
Siamo poetas en acciòn. Basta sceglierlo: la realtà è quella che creiamo, quella che vogliamo.
(Valentina Guerriero)