Se il 2016 si è chiuso con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 222, di modifica ai regimi amministrativi, che ha istituito la cosiddetta SCIA 2 in sostituzione della residuata DIA, anche nel corso del 2017, oramai al termine, sono entrati in vigore nuovi dispositivi normativi con l’obiettivo di semplificare il complesso quadro normativo urbanistico italiano.
Tra questi, due provvedimenti riguardano l’ambito dei beni culturali e del paesaggio: il nuovo regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, DPR 31 del 13 febbraio 2017; l’inclusione del cambio di destinazione d’uso nell’intervento di restauro e risanamento conservativo, operato con la legge n. 96/2017, cosiddetta manovrina fiscale.
Il codice dei beni culturali e del paesaggio fin dalla sua istituzione ha previsto, all’art. 146 c.3, l’emanazione di un apposito regolamento circa la documentazione necessaria per la verifica della compatibilità paesaggistica, introdotto con il DPCM 12.12.2005.
Nel 2008 il legislatore ha affiancato al regolamento per le procedure ordinarie, DPCM 2005, anche un regolamento per le procedure semplificate, codificato con il DPR 139/2010 .
Quest’ultimo, da febbraio, è stato abrogato da un nuovo regolamento, DPR n. 31 del 13.02.2017, con l’obiettivo di snellire le procedure. Sono stati ammessi interventi liberi; è stato ampliato il ventaglio degli interventi da sottoporre a procedure semplificate; è stata inclusa, anche nell’ambito delle autorizzazioni paesaggistiche, la tolleranza del 2 per cento delle misure progettuali; sono stati ridotti i tempi per l’ottenimento dell’autorizzazione. In particolare, i tempi per la conclusione dell’iter procedurale, in assenza di richieste integrative da parte dell’amministrazione, deve concludersi in 50 giorni. Per la procedura ordinaria occorrono, invece, circa 100 giorni, a parità di condizioni.
L’altra novità normativa nel settore dei beni culturali, sopra richiamata, è stata introdotta dalla legge n. 96 del 24.06.2017, la quale ha concesso la possibilità di effettuare il cambio di destinazione d’uso attraverso l’intervento di restauro e risanamento conservativo. Ricordiamo, infatti, che il cambio di destinazione d’uso in zona A era ascritto all’intervento di ristrutturazione edilizia.
L’esigenza è nata da recenti sentenze della Cassazione, pronunciatasi sull’obbligo di presentazione di permessi di costruire in caso di richiesta di cambio di destinazione d’uso nei centri storici, e dalla circostanza che la normativa tecnica di attuazione, in molti centri storici del bel paese, non ammette la ristrutturazione edilizia.
Tale vincolo, spesso necessario al fine di preservare l’integrità architettonica degli agglomerati storici, limitava l’utilizzo dei vani posizionati in tale zona e generava condizioni, in taluni casi, paradossali.
Al fine di porre rimedio al gap normativo, che altrimenti avrebbe visto tanti comuni incamminarsi verso la tortuosa strada delle varianti urbanistiche con tutte le improbabilità del caso, considerati i vincoli architettonici e paesaggistici gravanti sui nostri agglomerati, è intervenuto il legislatore con un dispositivo normativo che appare una soluzione semplice, coerente e che ristabilisce l’equilibrio in un quadro sostanzialmente già definito.
Con il nuovo regime si semplifica anche il titolo edilizio necessario per la formulazione dell’istanza. Infatti per il cambio di destinazione d’uso in zona A è ora sufficiente una comunicazione di inizio lavori asseverata, art. 23 del DPR 380/01, oppure, se con opere strutturali, una SCIA, art. 22 del DPR 380/01. Prima era richiesto il PdC o c.d. super DIA.