a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 22 settembre la chiesa celebra san Maurizio, nacque verso il 250 d.C., da genitori pagani in Africa, probabilmente nella regione egiziana che stava attorno alla città di Tebe. Infatti il suo nome Mauritius significa cavaliere africano. Non si conosce nulla della sua vita giovanile se non che abbraccia la carriera militare nell’esercito romano, la legione Tebea, comandata da Maurizio, che opera in Siria e Palestina. In tal modo Maurizio viene a contatto con il Vangelo e riceve il battesimo. Maurizio parla con tanta convinzione che tutta la legione diventa cristiana e questa fede verrà ben presto messa alla prova. Nel 285 d.C. l’imperatore Diocleziano affida l’occidente a Massimiano detto Erculeo, un soldato brutale che soffoca nel sangue le rivolte che scoppiano nelle terre conquistate. Uno di questi episodi si verifica nella contrada dei Bagaudi tra la Francia attuale e la Svizzera. Massimiano muove contro di loro e, per essere sicuro delle sue truppe ad avere reparti fedeli ai suoi ordini; fa trasferire in Italia la legione Tebea. La legione, agli ordini di Maurizio, approda in Italia e la sua prima tappa è Roma, qui incontra la comunità locale e ricevono la benedizione san Marcellino papa. Con questa benedizione iniziano la lunga marcia di trasferimento, per le vie consolari, fino alla Liguria e al Piemonte. Passato il valico del Gran San Bernardo, detto Sommo Poeninus scendono a valle e piantano l’accampamento sulle rive del Rodano nei pressi della città di Octodurum (attuale Martigny) in un luogo roccioso detto Agaunum (odierna Saint-Maurice-en-Valais). È qui che si reca Maurizio per sentire le novità e per ricevere ordini, ma le novità sono poco rassicuranti. Massimiano lancia l’idea di mascherare la repressione delle sommosse contadine con la persecuzione dei cristiani rei di lesa maestà in quanto negano all’imperatore gli onori divini. In tal modo, con massacri, può conseguire il duplice scopo. Intanto ordina che tutte le truppe si concentrino a Octodurum, presso il Quartier Generale per una solenne cerimonia religiosa durante la quale verranno celebrati sacrifici per ottenere la protezione degli dei sull’impresa. Maurizio, amareggiato, torna ad Agaunum e parla agli ufficiali e ai legionari. Al mattino all’adunata a Octodurum, la legione Tebea non compare. Maurizio e i suoi legionari sono rimasti all’accampamento. Massimiano ordina una severa punizione per l’unità e, non bastando la sola flagellazione dei soldati ribelli, si decise di applicare la decimazione, una punizione militare che consiste nell’uccisione di un soldato su dieci, mediante decapitazione. I tebei non si spaventano, Maurizio e i suoi ufficiali li esortano ad essere forti. Quando viene recata al campo imperiale la notizia che la decimazione ha avuto luogo e che nonostante questo i componenti la legione Tebea affermano di non voler perseguitare i loro fratelli cristiani e di non voler celebrare riti pagani, l’imperatore ordina una seconda decimazione. Neppure questa volta la legione si piega e viene meno alla sua fede cristiana. Maurizio, temendo che la loro resistenza possa sembrare contraria all’onore militare, indirizza all’imperatore, a nome dei legionari, un breve messaggio in cui afferma: «Noi siamo vostri soldati, ma siamo nello stesso tempo servi del vero Dio e lo confessiamo con libertà. Non possiamo eseguire i vostri ordini quando sono contrari ai suoi». Massimiano ordina che tutto il rimanente esercito stermini la legione. Maurizio cade fra i primi e lo seguono fedelmente i suoi ufficiali e i suoi legionari; patrono degli Alpini.
22 settembre: beato Ignazio da Santhià (al secolo Lorenzo Maurizio Belvisotti), nacque a Santhià il 5 giugno 1686, da una famiglia agiata. Si sa poco della sua infanzia, a parte il fatto che il padre morì quando Lorenzo aveva appena 7 anni. La madre ne affidò l’educazione, in particolare quella religiosa, a un sacerdote del luogo, e in breve il ragazzo decise di abbracciare la vita ecclesiastica. Frequentò il seminario locale, dove fu ordinato, e subito dopo divenne canonico della chiesa collegiata a Santhià, con l’incarico di parroco. Tra lo stupore e lo sgomento dei parenti, che si auguravano ascendesse rapidamente alla carriera ecclesiastica, Lorenzo rifiutò, e invece entrò nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, con il nome d’Ignazio, pronunciando i voti nel 1717. Così don Belvisotti divenne fra Ignazio da Santhià nel noviziato di Chieri il 24 maggio 1716. La sua fermezza nel tendere alla perfezione, l’osservanza piena, premurosa, spontanea e gioiosa della vita cappuccina, gli attirarono l’ammirazione anche dei più anziani religiosi del noviziato. Nei successivi 25 anni dedicò gran parte del tempo alla guida spirituale, diventando un confessore molto richiesto dalla gente appartenente a ogni ceto sociale. In 14 anni di magistero Ignazio firmò la professione di 121 novizi, alcuni dei quali, distintisi nella virtù, moriranno in fama di santità. Ignazio sapeva infondere nei giovani la passione per l’osservanza della regola e delle costituzioni; il suo genio brillava nel ricondurre la varietà delle pratiche all’unità del loro principio generatore: l’amore. Egli sapeva entusiasmare i giovani alla virtù, al sacrificio, né voleva imporre un atto di rigore che non fosse entrato prima nel “gioco dell’amore”, come usava esprimersi. La somma discrezione e la tenerezza definita “materna” gli accaparrarono somma venerazione e irresistibile penetrazione educativa nello spirito dei suoi giovani. Ad un novizio, divenuto missionario nel Congo, Bernardino da Vezza, e impedito per una grave oftalmia di continuare nell’attività apostolica, fece dono dei propri occhi addossandosi la malattia del discepolo con un atto eroico. Il missionario guarì, ma Ignazio fu colpito così violentemente dal male da vedersi costretto a lasciare l’ufficio, con sommo rincrescimento di tutta la famiglia religiosa. Ignazio non si pentì mai di questa offerta, né si meravigliò di quella malattia: la croce doveva ben portarla qualcuno! Esonerato dall’ufficio di maestro di noviziato, Ignazio non si credette un soggetto da pensione, e continuò al Monte di Torino la sua efficace opera di insegnamento ai religiosi. Ufficialmente Ignazio non fu predicatore ma, quando l’obbedienza lo incaricò di tenere ogni domenica il catechismo ai fratelli laici e poi di predicare gli esercizi spirituali alla famiglia religiosa del Monte, non esitò ad accettare; il successo fu tale che ai suoi catechismi intervenivano anche i superiori, i professori di teologia e i predicatori con grande entusiasmo. Per 14 anni fu maestro dei novizi, assistendo anche i soldati ricoverati negli ospedali militari, durante la guerra che scoppiò in quella zona nel 1743. Nel 1756 circa, andò a vivere nel convento dei cappuccini, del Monte, a Torino, dove trascorse il resto della vita insegnando il catechismo e offrendo rifugio ai religiosi. Morì il 22 settembre 1770, a 84 anni