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di Antonio Vecchione.
La morte di Don Francesco Tulino, “Franceschino” per noi baianesi, ha suscitato un cordoglio unanime, sentito, sincero, che si leva dal profondo del cuore di tutti quelli che l’avevano conosciuto, di ogni generazione, giovani e meno giovani. Un minuto dopo averlo conosciuto, era impossibile non volergli bene. La dolcezza del sorriso, la mitezza dello sguardo, l’espressione sempre sincera, la capacità di trasmettere serenità, stemperando e semplificando ogni problema, erano queste le sue armi. Due i valori universali che hanno caratterizzato il suo percorso di vita: la Fede in Cristo e la Pace, sia tra gli uomini che tra gli uomini e il creato. Un modo d’essere il suo che ha caratterizzato tutta la sua vita, fin dalla giovinezza, ed io, per diretta esperienza, ne sono testimone e doverosamente gli rendo omaggio. Appartengo, infatti, a una generazione che ha avuto la fortuna di vivere un’epoca straordinaria per Baiano, nella quale Franceschino era, insieme ad altri, un modello ideale per noi giovani, un esempio da imitare. Parlo degli anni cinquanta e dei primissimi sessanta, gli anni in cui ebbe il massimo sviluppo e diede il meglio di sé il Movimento giovanile di Azione Cattolica, che trovò attorno alla figura del Parroco di S. Stefano, don Stefano BOCCIERI, le migliori condizioni per crescere ed espandersi. Non è semplice oggi, a distanza di sessanta anni, rappresentare compiutamente quei favolosi momenti, di evoluzione, di entusiasmo, di emancipazione, di fiducia nel futuro, di progetti ambiziosi, di cambio di passo rispetto ai tradizionali costumi di vita: un vero spartiacque per noi giovani. Contribuirono a creare le favorevoli condizioni di questa straordinaria crescita non soltanto la particolare bravura, la “pietas” e il dinamismo degli Assistenti che il Parroco seppe scegliersi (don Sabatino De Martino, don Ennio Pulcrano, don Luigi Cacciapuoti, don Pasqualino Sepe) ma anche i dirigenti laici, Tonino Russo, Gianni Amodeo, Mimmo Lerro, Ciro Guadagno, Stefano Scotto, Aldo Conte e il nostro Francesco Tulino, che seppero “dialogare” con i giovani e promuovere attività, religiose e ricreative, di grande spessore civile e morale. All’epoca, rispetto alle semplici e umili case o bassi dove vivevano la maggior parte dei giovani baianesi, la canonica della Parrocchia di S. Stefano era un “paradiso” in terra e frequentarla costituiva una felice evasione dalla rigida vita quotidiana, una proiezione in una dimensione che ci affascinava. Gli amplissimi locali interni e gli spazi esterni ci davano la possibilità di esprimere tutta la voglia di partecipare, di imparare, di soddisfare i desideri e piaceri di apprendere, giocare e socializzare: campetti per calcio e pallavolo, terrazzi, saloni per cineforum, due ampie sale per assemblee, stanzette per studio o giochi come dama, scacchi, shanghai (un gioco scomparso che presupponeva abilità, destrezza e mano ferma), e, soprattutto per quello che diventò lo sport più praticato e amato, il Tennis Tavolo. Il tutto immerso nel verde più caldo ed accogliente su uno sfondo di dolci colline coperte di ulivi. Uno scenario da sogno per la società contadina dell’epoca, nel quale un paio di generazioni di giovani baianesi, grazie anche a persone straordinarie come don Francesco, hanno imparato a vivere, a confrontarsi con gli altri senza discriminazioni, ad apprendere i Principi della Civile Convivenza (il Rispetto, la Lealtà, l’Onestà), i Valori Cristiani di vita. Una stagione esaltante, dunque, una memorabile pagina di storia paesana, scritta da una illuminata schiera di persone che si sentivano uniti e solidali, partecipi della stessa comunità. Un concetto questo di unità e solidarietà che si percepiva con chiarezza ogni domenica mattina, alla Messa Sociale delle 09.30 nella Chiesa di S. Stefano, gremita di giovani. Assentarsi era impossibile. Eravamo orgogliosi di esserci, un modo per affermare la nostra legittimazione nella comunità, per dire: ci sono anche io. All’inizio della Messa intonavamo il meraviglioso Inno dell’Azione Cattolica che rafforzava questo sentimento di appartenenza. Sento ancora risuonare nel profondo della mia anima quel coro di ragazzi entusiasti e, in particolare, quel primo verso che esprimeva benissimo questa compattezza: “Qual Falange di Cristo Redentore, la gioventù Cattolica in cammino…”. Quella immagine della “Gioventù in cammino” era coinvolgente e sembrava trascinarci lungo il percorso della nostra vita. Potenza della musica e dei canti! Oltre all’apprendimento della dottrina Cristiana, nella quale davamo prova di eccellenza nelle varie verifiche diocesane, le attività che ci vedevano impegnati erano le più varie. Il Teatro fu una di queste, attività promossa da Don Sabatino. Lo ricorda perfettamente Andrea Belloisi, che vive negli Usa da circa 50 anni, che fu protagonista dell’opera “Lo zio d’America”, quasi una premonizione della sua vita. Gli spettacoli si tenevano nel palazzo Spagnuolo ed erano anche esportati nei paesi vicini. Il Circolo promuoveva anche periodi di svago, veri soggiorni – “villeggiatura”, una esigenza allora quasi sconosciuta alla maggioranza della popolazione baianese o almeno ritenuta inutile. Dai primi anni cinquanta, sempre grazie allo spirito di iniziativa degli assistenti religiosi e laici, furono organizzati periodi di vacanze alloggiando nelle caserme forestali dei nostri monti, Vallifredda, Acqua Fidia, Campo di Spina, che il maresciallo forestale Amleto Masi, autorevole ma aperto ai giovani e di grande signorilità, ci metteva a disposizione. Anche alcune rinomate località marine, come Conca dei Marini e Vico Equense, diventarono mete del Circolo, sempre sfruttando amicizie legate alla Diocesi. Un aiuto concreto per i circoli di AZIONE Cattolica ci veniva offerto, all’epoca, dalla POA, Pontificia Opera Assistenza. In genere ci regalava enormi sacchi di farina, per noi moneta contanti perché rivenduti a Vittorio Acierno, “o’ surdo”, affermato commerciante baianese, il quale ci offriva in cambio pasta, formaggio e olio, merce preziosa per i nostri soggiorni estivi, tutti improntati alla più stretta economia. Il circolo disponeva anche di tre tende, colore giallo ocra, probabilmente di provenienza militare, che sono state poi utilizzate per anni dai giovani di Baiano. Due erano abbastanza grandi, col sostegno centrale alto circa due metri, la terza era una anomala canadese, bassa ma lunghissima, circa cinque metri, dove potevano dormire fino a sei persone. Già nel 1960 le utilizzammo per una vacanza – campeggio a mare. Eravamo una ventina e piazzammo queste tende sul lungomare di Scauri, negli spazi esterni di un convento di suore, le quali, su presentazione della Diocesi, furono disposte ad ospitarci. L’anno successivo, con le stesse tende, trovammo posto a Marina di Minturno, nel giardino privato di proprietà della famiglia di un collega seminarista del nostro assistente, don Pasqualino Sepe, il prete “volante”, sempre alla guida spericolata di una vespa, e nel 1963 un altro gruppo soggiornò a Palinuro. Grande attenzione anche per il Calcio, lo sport che meglio rappresentava la comunità baianese per i successi dell’AC Baiano. Il campetto della Canonica era in servizio permanente con un susseguirsi di gare spesso tra quartieri. Nel 1960 partecipammo a un campionato diocesano a cui aderirono numerose squadre dei vari comuni dell’area. Per la nostra squadra scegliemmo un nome fortemente evocativo, “Bombardieri Baiano”, e una inusitata maglietta di colore Nero con stella bianca sul petto. Vincemmo quasi tutte le gare con punteggi tennistici, fino a un mitico 15 a 1 con la squadra di Schiava. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Fu una stagione esaltante, che ha formato, educato, emancipato due generazioni di giovani baianesi. Il nostro percorso di vita è stato tracciato dai valori positivi che straordinarie persone come Don Francesco seppero trasmetterci. Persone che avevano come stella polare nobili sentimenti: garbo, gentilezza, spirito di servizio, umiltà, capacità di rinuncia e disponibilità al sacrificio. Persone in grado in grado di costruire un clima sereno, affermando regole di pacifica convivenza, che ci hanno aiutato ad essere dei buoni cittadini e buoni Cristiani. La morte di don Francesco lascia un vuoto incolmabile nella comunità, ma, nello stesso momento, un forte sentimento di riconoscenza e gratitudine per la sua opera prende forma nel profondo della nostra sensibilità. Siamo certi che don Francesco non può morire nei cuori di chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene, perché profonda e incancellabile è stata l’impronta che ci ha lasciato nei suoi giorni terreni. Che Dio lo abbia in Gloria.