a cura di Grazia Russo
Domenica 16 febbraio, si festeggia Santa Giuliana, protettrice delle partorienti
Nella società tradizionale il parto avveniva in famiglia. Le donne davano alla luce i loro piccoli in casa con l’assistenza della levatrice, “a’ mammana”.
L’evento era gestito da sole donne, alle prime doglie accorrevano le vicine e le comari per offrire il loro aiuto.
Però in camera con la partoriente entravano la madre, la suocera, la prima cognata sposata e la levatrice che aveva il ruolo di persona esperta.
La presenza della madre e della suocera era altamente significativa: esse erano lì ad accogliere per prime il comune nipote, che avrebbe garantito la continuità generazionale dei due casati uniti.
Invece la presenza della cognata già madre di figli, assumeva un altro significato: essa doveva garantire il vincolo con la partoriente, una volta venuti meno i genitori, i loro figli dovevano considerarsi fratelli e sorelle, per questo motivo i cugini, si chiamavano “fratricucìni e sorecucìne”.
Durante il travaglio la partoriente si liberava dell’anello, si staccava la collana e si toglieva le molle che reggevano le calze, nella convinzione che nodi e lacci trattenessero il bambino nel grembo materno.
Oggi, il parto è diventato un evento che si consuma nella solitudine di una fredda sala parto, privi del calore della famiglia e lontano dalla propria comunità.