In tempo di pandemia da Covid-19 e relativo lockdown abbiamo visto con i nostri occhi gli effetti della riduzione dell’inquinamento da attività produttive. Abbiamo visto anche immagini di acque limpide nel mare di Napoli ed addirittura nel fiume Sarno, il fiume più inquinato d’Europa. In molti abbiamo pensato, allora, che la normalità pre-Covid era il problema.
Ma la domanda è: davvero abbiamo chiuso tutto? A leggere i dati di alcune delle centraline per le analisi dell’aria, disseminate sul territorio campano, pare proprio di no. Tant’è che confermano un livello di inquinamento preoccupante e pericoloso, nonostante i blocchi imposti durante la quarantena.
Le polveri sottili, e precisamente le Pm10 che sono dannosissime per la salute umana, hanno continuato a sforare i limiti imposti dalla legge [oggi riaggiornati dalla legge quadro del 2010 ma previsi sin dalla direttiva europea 1999/30/CE recepita in ritardo dall’Italia e solo dopo una procedura d’infrazione della Commissione Europea].
Perché? Quali sono le fonti di questo tipo di inquinamento che hanno continuato a produrre Pm10 anche durante il lockdown? E cosa fa la Regione Campania?
Come nella normalità pre-Covid la Regione Campania resta a guardare. Nel 2019 la centralina di San Vitaliano (Comune dell’area nolana e territorio della Città Metropolitana di Napoli), sita nei pressi della scuola Marconi, ha rilevato 115 sforamenti dei limiti previsti dalla normativa vigente, a fronte dei 35 sforamenti annui tollerati dalla legge.
Nei primi 4 mesi del 2020 si contano già 50 sforamenti delle soglie consentite, alcuni dei quali avvenuti in pieno lockdown, in una fase, cioè, durante la quale il traffico veicolare non era permesso e molte attività produttive erano chiuse. I dubbi che poniamo sono sull’origine di questi sforamenti: se tutto era chiuso, da dove provengono queste polveri sottili? Proviamo ad andare per esclusione. Durante il confinamento quali attività non sono state interrotte nel territorio? La combustione dei rifiuti, ad esempio, non si è mai arrestata, sia che si trattasse di quella legalizzata che avviene all’interno dell’inceneritore di Acerra, sia quella illegale che avviene nelle periferie delle nostre città. Dunque ci chiediamo: quelle combustioni sono, almeno in parte, causa dei suddetti sforamenti? Vogliamo delle risposte chiare ed esaustive.
L’organizzazione Terra Phoenix ha deciso, intanto, di diffidare la Regione Campania ad attivare il “piano per il raggiungimento dei valori limite”. È il minimo che si possa fare. Qualora ciò non avvenisse siamo pronti, insieme a tutti i soggetti interessati, a citare in giudizio la Regione stessa per ristabilire il diritto alla salute ed il diritto a vivere in un ambiente salubre.