Quando Umberto di Savoia salì a Montevergine – Avellino, 27 gennaio 1933.
Quel mattino arrivò a Montevergine un pellegrino di sangue reale. Si chiamava Umberto, era figlio di Vittorio Emanuele e di Elena del Montenegro, ed era nato il 15 settembre 1904 nel castello di Racconigi.
Quella era la terza volta che il principino, (così lo chiamava affettuosamente il popolo) si recava sul monte della “schiavona”.
Vi era già stato (in strettissimo incognito) circa tre lustri innanzi, allorquando vi aveva accompagnato sua Maestà la regina; ed ancora il 22 luglio 1932, giusto due giorni prima della sua visita ufficiale al nostro capoluogo. Alle 7,45 in punto di quel 27 gennaio 1933 l’auto reale (una “Isotta Fraschini” nera, decapottabile) si arrestò dinanzi alla spianata del “casone”. Umberto (Nicola, Tommaso, Giovanni, Maria) di Piemonte, lasciata l’automobile, proseguì a piedi e, dopo meno di un ora arrivò dinanzi al vecchio “tiglio” di san Guglielmo.
C’era molta neve quel giorno a Montevergine e questo indusse Umberto di Savoia ad attaccare gli sci ed a lanciarsi, sulle piste del campo “Maggiore”, seguito da un gruppo di ufficiali del suo comando.
Ci fu molto lavoro per i fratelli Velle che scattarono tante fotografie. La più bella venne sottoposta ad ingrandimento e dopo un periodo di esposizione fu acquistata dal consiglio di amministrazione del “Circolo sociale” di Avellino che la fece collocare nel salone del sodalizio.
Nel corso della giornata sciistica a Montevergine , il principe ebbe a “battipista” un giovane avellinese che con “legni e bastoncini” ci sapeva fare.
Si chiamava Ernesto Amatucci.
Prima della partenza per Napoli, Umberto di Savoia fece abbassare la sezione posteriore della “capote” dell’automobile per consentire ai Velle lo scatto di altre fotografie.
L’ultimo saluto fu, ovviamente, per Ernesto Amatucci che da quel 27 gennaio 1933, divenne “guida ufficiale” di S.A.R. il principe di Piemonte.
Dopo l’escursione di Umberto di Savoia a Montevergine le autorità decisero di far costruire un nuovo rifugio in sostituzione della “baita” dello “Sci club irpino”. Il rifugio fu inaugurato nel gennaio 1934 e svolse il suo compito per un buon ventennio. Venne, battezzato come “rifugio Principe di Piemonte”. Negli anni trenta non era agevole arrivare alle piste che si trovavano oltre il santuario. Chi voleva sciare doveva raggiungerle a piedi, attraverso il “Passo della Suocera”, che incuteva perplessità a tutti. Per darci un bel taglio si cominciò a pensare ad una nuova strada la cui realizzazione venne affidata ad un battaglione del X Reggimento del Genio militare di Napoli. Il primo tronco (il tracciato si sarebbe sviluppato per circa 1600 metri) fu inaugurato nel pomeriggio del 14 ottobre 1934.
La strada era molto bella e fu ammirata da una infinità di persone.
Tra esse, lo stesso sovrano che parlandone al marchese Giuseppe Mario Asinari di Bernezzo, suo primo Aiutante generale, la definì “veramente magnifica”.
La parentesi bellica arrecò conseguenze disastrose sotto tutti gli aspetti, ma a pace raggiunta si iniziò la ricostruzione.
Anche il rifugio “Principe di Piemonte”, ridotto in condizioni pietose, rientrò nei piani operativi della fase postbellica.
Se ne occupò proprio Ernesto Amatucci, nominato Presidente dell’E.P.T. di Avellino, carica che mantenne dal 1946 alla data della sua immatura scomparsa (1974).
Ma Amatucci fu anche primo cittadino di Mercogliano e di conseguenza rilanciò anche nel comune da lui amministrato il turismo di massa.
Il rifugio di Montevergine fu ristrutturato ed arredato con molta eleganza; ebbe l’angolo bar, divani e poltrone e vi si istallò addirittura una grossa stufa tirolese, in maiolica acquistata in Austria. Nel 1948 il presidente dell’ EPT, insieme ad altri 12 amici sciatori, fondò un sodalizio che fu chiamato “Sci club 13”. I successi del club arrivarono numerosi e bacheche e vetrine si riempirono di trofei, coppe, targhe, medaglie e diplomi.
Quando Ernesto Amatucci scomparve, il cordoglio fu generale; così come era stata generale la condanna per il vandalico incendio del rifugio di Montevergine, distrutto nel corso della notte dal 3 al 4 luglio del 1956.
L’ultima manifestazione a livello nazionale vi aveva fatto capo l’11 marzo 1956, dopo le abbondanti nevicate di quel tempo.
A Montevergine si registrarono due metri di neve, il che indusse lo “Sci club 13” a cancellare tutte le gare in calendario. Solo il 2 marzo fu possibile ad uno spazzaneve dell’ ANAS riaprire al traffico la “S.S. 88 bis” del santuario.
Dopo il 1935 Umberto di Savoia non si recò più a Montevergine, ma Ernesto Amatucci lo continuò puntualmente a fare. E lo fece fino a quando cominciò a puntare lo sguardo verso il “Laceno” ed il “Terminio”, datosi che sul “Partenio” non era più possibile dar luogo ad una qualsiasi manifestazione, per sopravvenute esigenze di carattere prettamente militare.
(Fonte: Ente Parco Regionale del Partenio)
Quella era la terza volta che il principino, (così lo chiamava affettuosamente il popolo) si recava sul monte della “schiavona”.
Vi era già stato (in strettissimo incognito) circa tre lustri innanzi, allorquando vi aveva accompagnato sua Maestà la regina; ed ancora il 22 luglio 1932, giusto due giorni prima della sua visita ufficiale al nostro capoluogo. Alle 7,45 in punto di quel 27 gennaio 1933 l’auto reale (una “Isotta Fraschini” nera, decapottabile) si arrestò dinanzi alla spianata del “casone”. Umberto (Nicola, Tommaso, Giovanni, Maria) di Piemonte, lasciata l’automobile, proseguì a piedi e, dopo meno di un ora arrivò dinanzi al vecchio “tiglio” di san Guglielmo.
C’era molta neve quel giorno a Montevergine e questo indusse Umberto di Savoia ad attaccare gli sci ed a lanciarsi, sulle piste del campo “Maggiore”, seguito da un gruppo di ufficiali del suo comando.
Ci fu molto lavoro per i fratelli Velle che scattarono tante fotografie. La più bella venne sottoposta ad ingrandimento e dopo un periodo di esposizione fu acquistata dal consiglio di amministrazione del “Circolo sociale” di Avellino che la fece collocare nel salone del sodalizio.
Nel corso della giornata sciistica a Montevergine , il principe ebbe a “battipista” un giovane avellinese che con “legni e bastoncini” ci sapeva fare.
Si chiamava Ernesto Amatucci.
Prima della partenza per Napoli, Umberto di Savoia fece abbassare la sezione posteriore della “capote” dell’automobile per consentire ai Velle lo scatto di altre fotografie.
L’ultimo saluto fu, ovviamente, per Ernesto Amatucci che da quel 27 gennaio 1933, divenne “guida ufficiale” di S.A.R. il principe di Piemonte.
Dopo l’escursione di Umberto di Savoia a Montevergine le autorità decisero di far costruire un nuovo rifugio in sostituzione della “baita” dello “Sci club irpino”. Il rifugio fu inaugurato nel gennaio 1934 e svolse il suo compito per un buon ventennio. Venne, battezzato come “rifugio Principe di Piemonte”. Negli anni trenta non era agevole arrivare alle piste che si trovavano oltre il santuario. Chi voleva sciare doveva raggiungerle a piedi, attraverso il “Passo della Suocera”, che incuteva perplessità a tutti. Per darci un bel taglio si cominciò a pensare ad una nuova strada la cui realizzazione venne affidata ad un battaglione del X Reggimento del Genio militare di Napoli. Il primo tronco (il tracciato si sarebbe sviluppato per circa 1600 metri) fu inaugurato nel pomeriggio del 14 ottobre 1934.
La strada era molto bella e fu ammirata da una infinità di persone.
Tra esse, lo stesso sovrano che parlandone al marchese Giuseppe Mario Asinari di Bernezzo, suo primo Aiutante generale, la definì “veramente magnifica”.
La parentesi bellica arrecò conseguenze disastrose sotto tutti gli aspetti, ma a pace raggiunta si iniziò la ricostruzione.
Anche il rifugio “Principe di Piemonte”, ridotto in condizioni pietose, rientrò nei piani operativi della fase postbellica.
Se ne occupò proprio Ernesto Amatucci, nominato Presidente dell’E.P.T. di Avellino, carica che mantenne dal 1946 alla data della sua immatura scomparsa (1974).
Ma Amatucci fu anche primo cittadino di Mercogliano e di conseguenza rilanciò anche nel comune da lui amministrato il turismo di massa.
Il rifugio di Montevergine fu ristrutturato ed arredato con molta eleganza; ebbe l’angolo bar, divani e poltrone e vi si istallò addirittura una grossa stufa tirolese, in maiolica acquistata in Austria. Nel 1948 il presidente dell’ EPT, insieme ad altri 12 amici sciatori, fondò un sodalizio che fu chiamato “Sci club 13”. I successi del club arrivarono numerosi e bacheche e vetrine si riempirono di trofei, coppe, targhe, medaglie e diplomi.
Quando Ernesto Amatucci scomparve, il cordoglio fu generale; così come era stata generale la condanna per il vandalico incendio del rifugio di Montevergine, distrutto nel corso della notte dal 3 al 4 luglio del 1956.
L’ultima manifestazione a livello nazionale vi aveva fatto capo l’11 marzo 1956, dopo le abbondanti nevicate di quel tempo.
A Montevergine si registrarono due metri di neve, il che indusse lo “Sci club 13” a cancellare tutte le gare in calendario. Solo il 2 marzo fu possibile ad uno spazzaneve dell’ ANAS riaprire al traffico la “S.S. 88 bis” del santuario.
Dopo il 1935 Umberto di Savoia non si recò più a Montevergine, ma Ernesto Amatucci lo continuò puntualmente a fare. E lo fece fino a quando cominciò a puntare lo sguardo verso il “Laceno” ed il “Terminio”, datosi che sul “Partenio” non era più possibile dar luogo ad una qualsiasi manifestazione, per sopravvenute esigenze di carattere prettamente militare.
(Fonte: Ente Parco Regionale del Partenio)