di Gianni Amodeo
E’ stato tra i più attivi e fiorenti Mercati del bestiame del Sud, tra il XIX e la prima parte del XX secolo, considerato secondo alcune attendibili statistiche economiche il secondo dopo quello di Modena per volume d’affari in ambito nazionale. Una realtà, quella del Foro boario e delle sue strutture operative in via Anfiteatro laterizio, che, nella combinazione funzionale con il Mercato dell’ortofrutta di via Giacomo Leopardi, ha rappresentato in considerevole misura non solo l’ancoraggio per le dinamiche dello sviluppo sociale ed economico di Nola, in linea con la sua vocazione storica di Città del terziario per eccellenza – facendo sistema con il contiguo scalo merci delle Ferrovie di Stato-, ma anche per le stesse dinamiche nell’area di riferimento, dal contesto strettamente Nolano, con i poli di Palma Campania e San Gennaro Vesuviano, a quello della Bassa Irpinia, segnatamente ad Avella e Mugnano del Cardinale.
Una realtà ormai rimossa e superata, a fronte profonde trasformazioni che si sono venute susseguendo dagli anni ‘50 in poi, mutando ad ampio raggio l’organizzazione della vita civile sul territorio e, più ancora, incidendo sugli assetti generali dell’economia anche e soprattutto per le nuove modalità di commercializzazione per le filiere interessate. Il Foro boario è stato dismesso negli anni ’60, rendendo liberi, tra l’altro, significativi e importanti spazi di pertinenza dell’Anfiteatro laterizio, risalente al I sec. avanti Cristo, la cui valorizzazione continua a far parte dell’agenda dei magnifici auspici e delle buone intenzioni enunciate da decenni nei cartelli programmatici della politica cittadina, ma nulla di più oltre l’enunciazione; e dismesso è ormai dagli anni ’90, il Mercato ortofrutticolo, un tempo articolato in oltre 70 postazioni all’”ingrosso”, che catalizzavano le produzioni ortofrutticole che ancora si praticavano in modo cospicuo sul territorio, mentre ora sono marginali e rarefatte, per immetterle nella rete della piccola e media distribuzione locale. E dismesso è anche lo scalo merci, che Trenitalia ha trasformato in un efficiente area parcheggio, migliorando, al contempo, la qualità dei servizi della stazione.
E’ lo scenario, in cui merita rilievo l’intensa funzione di commercializzazione svolta per circa due secoli dal Foro boario, terminale del rapporto tra l’impresa agricola, così come si è esercitata a lungo nell’intera area, in cui fino ad oltre mezzo secolo è stata prevalente la media e grande proprietà terriera, e la pratica diffusa dell’allevamento del bestiame, per lo più bovino; rapporto regolato dai contratti di soccida, coordinati, di fatto, ai modelli di economia circolare del linguaggio ora corrente, presidio dell’agricoltura biologica. Un rapporto contrattuale, per il quale, semplificando, il proprietario rendeva disponibile per il colono o conduttore fittavolo sia il suolo agrario che la casa colonica con stalle dedicate all’allevamento del bestiame da immettere sul mercato nolano, agevole da raggiungere anche e soprattutto per la rete di viabilità del territorio, sempre efficiente e che nel corso degli anni s’è venuta ancor più e meglio strutturando su strada, ferro e gomma. Era un meccanismo che garantiva importanti e vantaggiosi ritorni economici per le parti contraenti, soprattutto per i proprietari terrieri, in grado di essere anche imprenditori attenti nel garantire manutenzione congrua e adeguata alle stalle dedicate all’allevamento del bestiame, garantendo la qualità dei mangimi e tutte le cure necessarie.
“Tra le attività agricole – spiega l’avvocato Antonio Masucci, civilista e attento cultore della storia sociale del territorio- l’ allevamento del bestiame rappresenta quella più lucrosa e complessa, potendo avvalersi anche di una significativa ed importante serie di provvidenze elargite a livello regionale, statuale e, soprattutto, comunitario nel quadro degli obiettivi di Bruxelles e degli indirizzi generali della Politica agricola comunitaria; una condizione favorevole, per la quale è stata interessata specie negli ultimi anni da frequenti interventi legislativi a vario livello, in larga parte rapportati al profilo tributario.
Nelle nostre zone, non essendoci rilevanti pascoli di privati, fino agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso, è stata praticata una forma di allevamento–in stalla, meglio conosciuta come accrescimento del bestiame, identificato nel linguaggio corrente quale modalità d’ ingrasso degli animali, modellata sul piano giuridico e legale dalla regolamentazione che disciplina condizioni, criteri e finalità del contratto di soccida e di mezzadria.
La soccida, quale impresa associativa per l’allevamento del bestiame, tra il soccidante, quasi sempre proprietario del podere, e il soccidario, inteso quale mezzadro– colono–conduttore, è regolata dal Codice civile, e la normativa ne prevede due ipotesi: quella semplice, nel caso in cui il bestiame è conferito dal solo soccidante; e quella parziaria, nell’ipotesi in cui il bestiame sia stato conferito da entrambi i contraenti”.
Come nasce e qual è la genesi della soccida e delle sue tipologie diversificate?
“Nello schema contrattuale è un Istituto già conosciuto nel mondo romano ed ebbe, prevalentemente, diffusione nel Medioevo; venne, poi, disciplinato dalle varie legislazioni preunitarie, dal Codice napoleonico e, modellato su quest’ultimo, dal Codice del 1865, vale a dire il Codice dell’Unità d’Italia.
Il Codice civile del 1942, uniformandosi alla tutela dell’impresa, quale valore preminente nell’ordinamento giuridico corporativo, che trovava la sua fonte nella Carta del Lavoro del 1927, la cosiddetta Costituzione dello Stato fascista, lo ha disciplinato –puntualmente- anche se , come la normativa precedente, tenendo conto delle varie realtà sociali ed economiche del Paese, ha lasciato ampio spazio di adattamento, dell’iniziale schema, ai bisogni e agli usi locali, tant’è vero che l ‘art 2187,con disposizione finale di chiusura, stabilisce che : “ …. per quanto non espressamente disposto, si applicano, in mancanza di convenzione, gli usi”.
Nel contratto della soccida come in quello della colonia, la posizione del conduttore del fondo è risultata costantemente debole. Com’è intervenuta la legislazione in questi anni, per modificare l’evidente disparità?
“La soccida e la colonia– spiega Masucci– sono state prese in considerazione anche dalla legislazione speciale, sia pure con limitazione, giustificate dall’esigenza di tutela del conduttore del fondo, quale contraente debole del rapporto. Sotto questo profilo, va considerata la legge n. 756 del 1975, che ha vietato la stipula di nuovi contratti atipici e, per sua espressa previsione, però, non si applicava ai contratti di soccida con conferimenti di pascolo, che, a loro volta, tra i vari tipi di soccida, erano gli unici che rientravano nell’ambito normativo della legge stessa; la Legge n. 11 del 1971. Inoltre, la legge n. 203 del 1982 ha, invece, stabilito la trasformazione dei contratti agrari, introducendo la conversione in affitto di qualsiasi contratto associativo, che abbia ad oggetto fondi rustici, stipulato dopo l’entrata in vigore della legge stessa, facendo espressamente riferimento al contratto di soccida, sia pure prendendo in considerazione quello in cui manca il conferimento del pascolo”.
Tipologie contrattuali ormai in archivio, quelle della soccida, ma qual era il loro modello più diffuso e praticato sul territorio? “Nel modello contrattuale utilizzato nelle nostre zone, l’ obbligazione principale del soccidante era costituita dall’acquisto del capo di bestiame, mentre quella del colono era quella di “governare“ il bestiame, finalizzato all’ingrassamento dello stesso. Per convenzione poteva- anche- stabilirsi che entrambi provvedevano all’acquisto del capo, così come pure per i mangimi. Gli utili, come previsto dagli usi locali, erano ripartiti a metà; il guadagno, sostanzialmente, era rappresentato dalla differenza del prezzo unitario del capo venduto sottratto il prezzo iniziale di acquisto anticipato dal soccidante.
Al di là di tutto e al netto di tutte le leggende paesane, relative a tutti i rapporti di tipo economico – lo dico con senso di amara provocazione- tale tipo di attività ha consentito, a proprietari e coloni, fino ad oltre mezzo secolo fa di arrotondare i guadagni collegati al contratto di affitto dei fondi rustici; e prima che la legislazione speciale e, soprattutto, la più semplice coltura di sua Maestà la nocciola, escludesse tutte le altre coltivazioni ed attività praticate sui fondi agricoli”.