Grazie anche al lungometraggio animato prodotto da Steven Spielberg nel 1995,
molti pensano che sia stato Balto il cane ad aver salvato la città di Nome (in Alaska) dall’epidemia di difterite, portando l’antitossina in città e salvandola, dunque, da morte certa. In realtà non andò proprio così.
Quando nell’inverno del 1925 la cittadina fu colpita dall’epidemia, imperversava in condizioni climatiche molto aggravate, con temperature che toccavano i 30 gradi sotto lo zero. Dunque non era possibile ottenere i medicinali, giunti presso la stazione ferroviaria di Nenana, né per via mare né per via aerea. Così per spostarsi si decise di ricorrere all’impiego di ben 100 cani da slitta, suddivisi in più squadre, che avrebbero dovuto compiere una sorta di staffetta per portare la medicina in città nel minor tempo possibile, dividendo e, di conseguenza, diminuendo anche i kilometri da percorrere per ogni squadra.
Infatti, il totale dei kilometri previsti dal viaggio per ottenere i sieri, ammontava a circa 1000 km. La staffetta, quindi, prevedeva il passaggio dei medicinali di slitta in slitta, fino ad arrivare alla città di Nome.
Il team di Leonhard Seppala, uno dei musher più valorosi, guidato dal suo strepitoso leader, nonché fedele compagno Togo (un cane di razza Siberian Husky che aveva già raggiunto la veneranda età di 12 anni, ma di cui lo stesso allevatore non poteva assolutamente privarsi), fu quello che percorse il tratto di viaggio più lungo e pericoloso di tutti.
La squadra del musher di origini norvegesi, intraprese una scorciatoia, attraversando una baia di ghiaccio per risparmiare ulteriori kilometri e un giorno intero di viaggio. Così Togo riuscì a guidare la sua squadra per oltre 500 km, contro condizioni climatiche avverse, caratterizzate da temperature gelide, venti e tempeste di neve. La squadra che si occupò di percorrere l’ultimo tratto e di consegnare le medicine alla città di Nome era capitanata da un altro musher, Gunnar Kaasen, il cui team era guidato da Balto (di proprietà dello stesso Seppala).
Per questo motivo, una volta arrivati in città, avendo compiuto loro l’ultimo tratto della staffetta, Balto fu considerato un eroe e, oltre a finire sulle copertine di tutti i giornali, fu edificata anche una statua in suo onore a New York, in Central Park. Tuttavia, in Alaska tutti sapevano che il vero eroe non fu Balto, ma fu un altro cane: il grande leader Togo.
Molti cani di diversi gruppi morirono, ma alla fine riuscirono a far arrivare le medicine in tempi record: in sole 127 ore circa.
Più tardi, lo stesso Leonhard Seppala, nel suo diario, dichiarerà che Togo è stato il cane migliore che abbia mai avuto ed esprimerà il suo totale disappunto per Balto, reo di esser diventato famoso immeritatamente.
Di seguito una parte del suo diario: “…la cosa che più mi disturbava era che il record di Togo fu assegnato a Balto, un cane poco valido, che fu portato alla ribalta e reso immortale. Era più di quanto potessi sopportare quando Balto, il cane della stampa, ricevette per la sua “gloriosa impresa” una statua che lo raffigurava con i colori di Togo e con l’affermazione che lui aveva portato Amundsen a Point Barrow e per una parte del percorso verso il polo, mentre non si era mai allontanato per più di duecento miglia a Nord di Nome! Avendogli attribuito i record di Togo, Balto si affermò come “il più grande leader da corsa d’Alaska” anche se non aveva mai fatto parte di un team vincente! Lo so perché io ero il padrone ed avevo cresciuto sia Balto che Togo. La “corsa del siero” fu l’ultima corsa a lunga distanza di Togo…”.
Indubbiamente, tutti i 100 cani impiegati nella corsa, compreso Balto, furono veri eroi, ma Togo lo fu sicuramente più di tutti e fortunatamente la vera storia della corsa per la salvezza di Nome, a distanza di qualche anno dall’impresa, salì alle luci della ribalta.
Oggi, il corpo imbalsamato di Togo è esposto all’Iditarod Trail Headquarters Museum di Wasilla, in Alaska. Quello di Balto, invece, è conservato nel Museo di Storia Naturale a Cleveland.