Oggi 12 aprile la chiesa festeggia san Giuseppe Moscati (Giuseppe Maria Carlo Alfonso Moscati), nacque a Benevento il 25 luglio 1880, in una famiglia dove il padre è magistrato e la madre una nobildonna. Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferì ad Ancona, perché il padre, promosso consigliere di Corte d’Appello, e poi nel 1884 quando fu trasferito alla Corte d’Appello di Napoli. Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali all’Istituto Vittorio Emanuele, conseguendovi con voti brillanti la licenza liceale nel 1897, all’età di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell’Ateneo partenopeo. È possibile che la decisione di scegliere la professione medica sia stata in parte influenzata dal fatto che nel 1892, iniziò ad assistere il fratello Alberto, infortunatosi per una caduta da cavallo durante il servizio militare e rimasto soggetto ad attacchi di epilessia; a questa esperienza è stato ipotizzato che Giuseppe si era confrontato con il dramma della sofferenza umana, considerando l’attività del medico come un sacerdozio. Il 4 agosto 1903, Giuseppe conseguì la laurea in medicina con pieni voti, con una tesi sull’ureogenesi epatica, e considerata degna di stampa. A distanza di cinque mesi dalla laurea, Giuseppe prende parte ai concorsi per assistente ordinario e per coadiutore straordinario negli Ospedali Riuniti di Napoli; nel primo dei concorsi riesce secondo; nell’altro primo assoluto. Rimarrà nel nosocomio per 5 anni. La grande dedizione per gli ammalati non sottrae il tempo di Giuseppe per lo studio e la ricerca medica che persegue attuando un concreto equilibrio fra la scienza e la fede cattolica. Giuseppe è uno scienziato di prim’ordine; ma per lui non esistono contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore è al servizio della verità e la verità non è mai in contrasto con se stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità eterna ci ha rivelato. Per Giuseppe la fede è la sorgente di tutta la sua vita, vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni. Così Giuseppe diventa l’apostolo di Gesù: senza mai predicare, annuncia, con la sua carità e con il modo in cui vive la sua professione di medico. Dal 1904 Giuseppe presta servizio di coadiutore all’Ospedale degl’Incurabili, a Napoli, e fra l’altro organizza l’ospedalizzazione dei colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso, salva i ricoverati nell’ospedale di Torre del Greco, durante l’eruzione del Vesuvio nel 1906. Negli anni successivi Giuseppe consegue l’idoneità, in un concorso per esami, al servizio di laboratorio presso l’ospedale di malattie infettive “Domenico Cotugno”. Accade che nel 1911 un’epidemia di colera funesti Napoli, Giuseppe viene chiamato a svolgere ricerche. Presenta una relazione all’Ispettorato della Sanità Pubblica sulle opere necessarie per il risanamento della città. Sempre nel 1911 riceve la libera docenza in Chimica Fisiologica su proposta del professor Antonio Cardarelli, il quale ha sempre nutrito grande stima per la preparazione del giovane medico. Socio della Reale Accademia Medico-chirurgica e direttore dell’Istituto di Anatomia Patologica. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale presenta domanda di arruolamento volontario; la domanda viene respinta con la motivazione che il suo lavoro a Napoli risulta più importante; non manca di prestare soccorso e conforto spirituale ai soldati feriti di ritorno dal fronte. Per concentrarsi sul lavoro in ospedale e restare accanto agli infermi ai quali è molto legato, nel 1917 rinuncia all’insegnamento e alla cattedra universitaria. Terminata la guerra, nel 1919, il consiglio d’amministrazione, dell’ospedale Incurabili lo nomina primario; nel 1922 consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale. Dopo aver assistito alla Messa e ricevuta la comunione nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli e aver svolto come di consueto il suo lavoro in ospedale e nel suo studio privato, si sentì male e spirò sulla sua poltrona. Morì il 12 aprile 1927, a 46 anni; patrono degli anatomo-patologi.
12 aprile: san Zeno (o Zenone) di Verona, nacque in Mauretania (Africa) nel 300 d.C. circa, e per questo vi si fa spesso riferimento come a “il Vescovo Moro”. Un colpo di Stato militare portò al trono imperiale Settimio Severo che favorì evidentemente la regione d’origine e gli scambi tra Mauretania e penisola italica. In questo flusso si inserì anche il trasferimento di Zeno, il “vescovo Moro”, formatosi alla scuola di retorica africana. Fu vescovo di Verona dal 362 al 371, anno della sua morte, ottavo in ordine di successione della diocesi veneta. Per questo è considerato protettore dei pescatori d’acqua dolce. Era comunque persona colta ed erudita, formatosi alla scuola di retorica africana, i cui maggiori esponenti furono Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio. Sono giunti fino a noi numerosi suoi sermoni, di cui 16 lunghi e 77 brevi, che testimoniano come L’azione di Zeno, oltre all’evangelizzazione, si concentrò, nell’ambito delle comunità cristiane della zona, a contrastare la linea dell’arianesimo, dottrina che non riconosceva la Trinità e che assegnava a Cristo una natura inferiore a quella del Padre. L’arianesimo, negli anni in cui Zeno era Verona, era stato condannato dal primo Concilio di Nicea, nel 325, ma riconosciuto come dottrina cristiana di Stato dall’imperatore Costanzo. Le testimonianze agiografiche narrano che Zeno visse in estrema povertà, in austerità e semplicità, tanto che pescava egli stesso nell’Adige il pesce per il proprio pasto. Il sermone quindicesimo, ad esempio, traccia un parallelo tra la figura di Giobbe e quella di Cristo. Morì a Verona il 12 aprile 371