di Sebastiano Gaglione
La tragedia di Ermengarda rappresenta il IV atto di Adelchi e può essere considerata il momento più drammatico dell’intera opera. Ermengarda, la sorella di Adelchi, dopo essere stata ripudiata da Carlo Magno, si ritira in convento presso la sorella monaca Ansberga. L’intento del suo personaggio è quello di mettere in risalto gli aspetti più contrastanti dell’animo umano. Una volta giunta in convento, infatti, Ermengarda mostra alla sorella la volontà di distaccarsi dal mondo. Ella afferma di essersi distaccato dalla passione per Carlo, anche se una serie di indizi mostrano che si tratta in realtà di una maschera. Manzoni, qui sembra attento all’indagine dei meandri dell’animo umano, mette in luce una serie di strategie che l’animo umano mette in campo appunto per ingannarsi, per trovare una “falsa” giustificazione alla loro infelicità e sofferenza.
La donna ci viene presentata, praticamente, in fin di vita, con i capelli morbidi sparsi sul petto scosso dall’affanno, con le braccia abbandonate e con il volto pallido imperlato dal sudore, distesa sul letto con uno sguardo costante al Cielo, quasi a prendere coraggio e pronta ad “abbracciar” la morte e quindi ad eliminare i suoi innumerevoli problemi, a partire dalle notti insonni trascorse a supplicare Dio con intento di voler dimenticare quei suoi ricordi nostalgici dalla testa. Ciò simboleggia come Manzoni tende a sottolineare la passione terrena di Ermengarda nei confronti del marito, passione che la sconvolge, soprattutto nel commemorare i bei momenti del passato, proprio come Napoleone nell’ode “Il cinque maggio”, infatti, facendo molta attenzione è possibile notare che, a partire dalla terza strofa sia presente una sorta di “gioco di rimandi” che si dipana nel corso del coro al Cinque maggio e alla figura del glorioso generale francese Napoleone Bonaparte. Alla base del ritratto morale di entrambi i personaggi è ricorrente il tema del ricordo, causa assoluta del dolore che redime entrambe le figure nell’ottica di un disegno sublime e misericordioso da parte di Dio, nel mistero della sua volontà lega la purificazione al dolore secondo un’espressione provvidenziale.
Il personaggio di Ermengarda, infatti, è condannata tra (quarta strofa) e resa prigioniera della sua pena e della commemorazione nostalgica di ciò che è stato e che purtroppo non è più, ma paradossalmente, ella è “giustificata” e resa “pura” della sua stessa sofferenza. A partire dal v. 61 è presente, in modo elevato, l’immagine analogica della potenza dell’amore. Altro tema di notevole importanza, utilizzato da Manzoni è quello della sventura, che eleva, per volere di Dio, la storia umana ad una specie di “teatro del male” per cui dolore e provvidenza sono provvidenziali, poiché ci riscattano ed elevano a Dio la nostra natura estremamente corrotta.
Alla fine Ermengarda muore diventando l’eroina sofferente ben accetta a Dio e con la rinnovata possibilità di tornare ad essere nuovamente felice, poiché sarà compensata dello Stesso Altissimo. Infine, il corso si chiude con un suggestivo paesaggio di una ritrovata speranza e serenità.