di Don Riccardo Pecchia
«Tu mi chiedi spesso perché i secoli passati siano stati illustrati dai gloriosi ingegni di tanti eminenti oratori, mentre sembra che la nostra epoca, completamente sterile e priva del vanto dell’eloquenza, faccia fatica a ricordare persino il nome di oratore. Chiamiamo infatti così soltanto gli antichi, mentre gli abili parlatori odierni vengono detti causidici, avvocati, patroni, o come preferisci, ma non oratori». Questa risposta offerta in modo nitido da Publio Cornelio Tacito a Lucio Fabio Giusto deve far molto riflettere quanto scritto, anche noi uomini e donne del nostro tempo, del come dimentichiamo troppo facilmente chi ci ha preceduto nel tempo. Così è successo con l’illustre personaggio avellano. Come ci dà testimonianza, dell’avvenuta dipartita del cardinale Bartolomeo D’Avanzo, il cronista dell’autorevole rivista dei padri gesuiti La Civiltà Cattolica riferendoci che «Monsignor Bartolomeo D’Avanzo, profondo teologo ed erudito scrittore, non si limitò a pascere il suo gregge con dotte istruzioni ed a provvedere con sollecitudine al suo profitto, ma prese a studiare e confutare con erudita e ragionatissime dissertazioni i principali errori religiosi, filosofici e politici dell’età nostra, i quali trovarono in lui un valentissimo e vittorioso avversario». Della sua fama di eloquenza e di dottrina ne sono testimonianza i tanti scritti per la rivista napoletana La Scienza e la Fede, ma anche tanti opuscoli, notifiche, lettere pastorale e missive da lui redatte.
Bartolomeo D’Avanzo nacque ad Avella, in provincia di Avellino, ridente cittadina della verde Irpinia, alle ore otto e trenta del 3 luglio 1811, lo stesso giorno riceve il sacramento del battesimo al fonte battesimale della Parrocchia di Santa Marina imponendogli il nome Bartolomeo, Giuseppe, Francesco, in pieno Decennio francese (1806-1815), dal medico Bartolomeo e da Caterina Borselli (o Borzelli). L’infanzia, del piccolo Bartolomeo, alla morte del padre, che aveva trentasei anni, avvenuta in quello stesso anno, si spense nel 1811, si svolse in compagnia della madre, del fratello maggiore Martino, che diventerà un noto chirurgo, della sorella Luisa, anch’ella più grande del nostro cardinale, e della zia Porzia, sorella del padre, che per la sua vita virtuosa ed esemplare donò ai tre amati nipoti un’educazione cristiana, in modo peculiare della pratica religiosa, che farà germogliare, nel piccolo Bartolomeo, la vocazione al sacerdozio. Gli anni che precorsero la nascita del D’Avanzo fino al 1860 la cittadina di Avella era territorio e provincia di Terra di Lavoro, comune a se stante, distretto di Nola, circondario di Baiano e diocesi di Nola. Questa era una regione-storico-geografica dell’Italia Meridionale legata alla Campania e, oggi, suddivisa tra le regioni amministrative di Lazio, Campania e Molise. La Terra di
Lavoro, inoltre, fu un’unità amministrativa, prima, del Regno di Sicilia, poi, del Regno di Napoli, quindi, del Regno delle Due Sicilie ed, infine, del Regno d’Italia. Le origini di Avella sono antichissime, e i suoi abitanti sono da Plinio il Vecchio chiamati Abellani. Le fonti storiche più accreditate (Plinio il Vecchio, Ambrogio Leone) legano l’etimologia dell’antica Abella alla qualità delle nocciole che abbondano nel suo territorio (Nuces abellanæ). Isidoro di Siviglia, arcivescovo e santo spagnolo, nella sua opera principale l’Etymologiarum sive Originum, annota nel Libro XVII, sull’agricoltura: «Abellanæ ab Abellano Campaniæ oppido, ubi abundant, cognominatæ sunt» (VII, 24). Altre fonti non meno autorevoli la riconducono alla peculiarità intensa dei venti locali che sono capaci di sradicare alberi e “scoprire edifici” (appunto il verbo “āvello” in latino significa: estirpare con forza). Il poeta romano Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio, ricorda Abella, nella sua famosa opera l’Eneide, per la ricca produzione di frutta (Libro VII, 740): «Et quos maliferæ despectant mœnia Abella». Ma Avella sin dalla preistoria è stata un crocevia di civiltà. La presenza umana, nel suo territorio, è accertata a partire dal Paleolitico superiore. Successivamente, la città risentì dell’influenza delle colonie greche della costa e dell’area etrusca, ed è evidente uno stretto rapporto con l’area caudina, come testimoniano i numerosi reperti archeologici rinvenuti. Fu Osca, Etrusca e Sannita. Nel 339 a.C. accettò la protezione di Roma, alla quale rimase sempre fedele, tanto nella prospera che nell’avversa fortuna, diventando prima Municipio e poi Colonia. Subì una devastazione ad opera di Spartaco e fu distrutta dai Sanniti di Nola. Saccheggiata da Alarico nel 410 a.C., cadde sotto il dominio dei Goti per poi passare ai Longobardi di Singinolfo. Fu saccheggiata e sottomessa anche dai Saraceni e dagli Ungari. Divenne feudo dei Normanni e podere di «nobilissime famiglie» come gli Orsini e i Caracciolo.
È bene aver presente il periodo storico in cui è venuto al mondo il nostro piccolo Bartolomeo. Come accennavamo, poco prima, il dies natalis del neonato è in pieno Decennio francese. Sotto l’influsso delle idee rivoluzionarie d’oltralpe, il XVIII secolo si concludeva con un comune desiderio di cambiamento delle condizioni di vita e dello stato sociale. In ogni luogo, agli inizi del 1799, le masse popolari e le classi emergenti proclamarono il governo repubblicano ed eressero nelle piazze gli Alberi della Libertà come segno dell’avvenuto riscatto sociale e della trasformazione di sistema politico, sembrerà impossibile, ma anche nel circondario del Baianese, in quel periodo, ebbe il suo “Albero della Libertà”. Ma c’è anche da dire che ci furono rappresaglie di realisti, cioè coloro che sostenevano la monarchia, che «superarono ogni indugio e scesero a Baiano, Sperone e Avella, dove furono abbattuti gli alberi della Libertà e al loro posto venne innalzata la Croce». Nel 1801 Napoleone Bonaparte riorganizzò la Repubblica Cisalpina, che l’anno successivo divenne Repubblica Italiana con la presidenza dello stesso Napoleone e la vice-presidenza del duca Francesco Melzi d’Eril. Il 17 marzo 1805 la Repubblica italiana fu trasformata in Regno d’Italia e il titolo regale fu assunto, il 26 maggio dello stesso anno, da Napoleone, che il 5 giugno, designò Viceré il figliastro Eugenio de Beauharnais, figlio di prime nozze della moglie creola Marie-Josèphe-Rose de Tascher de la Pagerie, nota come Giuseppina, e di cui il Bonaparte si fidava ciecamente e dal quale era sicuro di non dover temere il perseguimento di obiettivi politici propri. Quindi «divenuto nel 1806 re di Napoli, Giuseppe Bonaparte, assicurata la sicurezza del regno, minacciata dagli inglesi e dai Borboni rifugiatisi in Sicilia, incominciava l’attività di governo, ispirata a propositi riformisti, compatibili con la dichiarata tutela napoleonica, politica ritenuta necessaria per affermarsi di uno Stato più moderno e prospero. I primi mesi dell’insediamento di Giuseppe Bonaparte furono caratterizzati da un’intensa attività legislativa. Tuttavia la sottomissione del regno napoletano agli interessi francesi ne condizionò pesantemente l’economia. Il sistema doganale instaurato nella penisola fu articolato in modo da favorire l’importazione dei prodotti francesi e l’esportazione verso la Francia delle materie prime. Come si può verificare l’azione politica francese si ripercosse in maggior misura sulla classe dei più poveri, i quali sostenuti dalla Chiesa, si opposero decisamente al nuovo ordine. Nel periodo napoleonico il malcontento popolare si espresse soprattutto attraverso il brigantaggio, diffusosi in molte zone del meridione.
In giovane età fece il suo ingresso nel Seminario Vescovile di Nola, luogo per lui di formazione dove compì i suoi studi sia letterari che teologici, in quell’epoca uno dei maggiori e più qualificati luoghi del Regno di Napoli, «che si distingueva all’epoca per il rigore degli studi in forza di docenti di livello altissimo». Fu qui che temprò il suo spirito allo studio dei classici antichi e moderni, dove godette la simpatia del vescovo Gennaro Pasca, vescovo del tempo, sagace conoscitore e munifico mecenate di eletti ingegni. Ricevuti gli ordini sacri e completati gli studi nel Seminario nolano, fu ordinato sacerdote il 20 settembre 1834, successivamente s’iscrisse alla Regia Università di Napoli, completandola con la Laurea del Dottorato. Eletto Canonico teologo della Collegiata di San Giovanni de’ Fustiganti in Avella, fu chiamato ad insegnare nel Seminario di Nola, dove gli venne affidata la cattedra di Teologia Dommatica e quella di Lingua Ebraica. In questo periodo collaborò attivamente al celebre periodico napoletano “La Scienza e la Fede”.
Per il suo zelo e per la sua dottrina, fu nominato Canonico del Capitolo Cattedrale di Nola, con la dignità di primicerio della stessa Cattedrale, gli furono affidati altri delicati ed importanti uffici, quali quelli di Revisore dei libri e dei casi morali e Segretario della famosa Accademia di Religione Cattolica istituita, a Nola, dal vescovo Pasca. Tutta questa sua attività culturale e spirituale non poteva che essere coronata da un giusto premio. A circa quarant’anni di età, il 18 marzo 1851, papa Pio IX lo nomina vescovo di Castellaneta, ricevendo la consacrazione episcopale dieci giorni dopo, il 28 marzo. Da Roma nello stesso giorno della sua consacrazione indirizza ai suoi diocesani la sua prima lettera pastorale dove scrive umilmente del suo apprendere la nomina a tale incarico che: «Il nostro misericordiosissimo Iddio volendo negli imperscrutabili consigli suoi innalzare senza alcun nostro merito la debolezza al peso della dignità Episcopale, tremendo per gli omeri Angelici, ha inchinato il cuor generoso del Romano Pontefice (felicemente regnante) verso di noi, che nemmen lo pensavamo, facendoci preconizzare Vescovo titolare di cotesta illustre Chiesa e Diocesi di Castellaneta». Tra le molte opere di beneficenza compiute da monsignor D’Avanzo a Castellaneta, meritano di essere ricordate la cappella marmorea in onore dell’Immacolata, fatta erigere a sue spese nel Duomo di quella città con statua ed altare scolpiti dal celebre artista napoletano Francesco Citarelli; la Biblioteca che fornì di numerosi e pregevoli volumi; gli Episcopi di Castellaneta e di Mottola; il Convento di San Domenico, che comprò e restaurò a sue spese, affidandolo alle benemerite Figlie della Carità per l’educazione delle giovanette povere e l’erogazione gratuita delle medicine ai malati bisognosi, specie quelli colpiti da febbri malariche. Nel 1854, scoppiato il colera in numerosi centri delle due Diocesi, il D’Avanzo corse, con tutti i mezzi, in aiuto ai colerosi, prodigandosi con tanto zelo in quest’opera così profondamente umana e cristiana, da meritarsi dall’allora Re di Napoli, Ferdinando II, la Gran Croce della Commenda dell’Ordine di Francesco I. Sei anni dopo, precisamente il 13 luglio 1860, il vescovo Bartolomeo D’Avanzo veniva trasferito alle Diocesi di Calvi e Teano rimanendo per 13 anni ancora, fino al 1873, Amministratore Apostolico della sede episcopale di Castellaneta. Un mese dopo, precisamente il 13 agosto 1860, fu fatto segno ad un sacrilego attentato. Mentre si dirigeva da Castellaneta a Casamassima, per indi recarsi prima ad Avella, suo paese nativo, e poi alle due nuove Diocesi di Calvi e Teano, proprio all’uscita del bosco di Gioia del Colle, venne vilmente aggredito da due loschi figuri che, attraverso i finestrini della carrozza gli esplosero contro quattro colpi di fucile dei quali il primo fracassò l’interno della carrozza, il secondo gli ferì il polso della mano destra, il terzo gli sfiorò le costole uscendo sotto l’ascella sinistra ed il quarto lo colpì al petto. Quest’ultimo sarebbe riuscito sicuramente mortale, se non si fosse miracolosamente arrestato sulla Croce Pettorale. A causa dell’attentato ed ancora più per l’occupazione sabauda delle Due Sicilie, non potendo raggiungere la nuova Sede Vescovile di Calvi e Teano, fu costretto a rifugiarsi nel convento dei Padri Cappuccini di Sorrento, non mancando tuttavia, anche da quel forzato esilio, di far sentire la sua autorevole ed energica protesta contro il settarismo massonico e liberale e l’anticlericalismo imperante del tempo. Solo sette anni dopo, nel 1867, poté finalmente raggiungere la Diocesi di Calvi e Teano, dando subito inizio ad una vasta opera di ricostruzione materiale e morale in tutti i campi ed a tutti i livelli. Essendo ormai già a tutti note le sue straordinarie doti di mente e di cuore, all’apertura del Concilio Vaticano I (8 dicembre 1869), il D’Avanzo fu chiamato a Roma quale membro della Commissione “De Fide”. Purtroppo, dopo poco più di sei mesi dalla
sua convocazione, l’Assemblea Conciliare, pur avendo in precedenza votata alla unanimità la Costituzione “De fide catholica”, si trovò divisa sulla questione dell’Infallibilità Pontificia. Contro una qualificata maggioranza, dichiaratamente favorevole, si schierò una certa qual minoranza, composta di Vescovi tedeschi, francesi e nord americani, ostinatamente contraria. Nella Congregazione del 20 giugno, il Vescovo di Calvi e Teano, Bartolomeo D’Avanzo, dopo d’avere, con un vibrato discorso, confutato tutte le obiezioni degli avversari, difese con tanta enfasi ed ardore la tesi dell’Infallibilità, da suscitare il consenso unanime di tutta l’assemblea conciliare. Meno di un mese dopo, il 18 luglio 1870, veniva definitivamente approvata la Costituzione dommatica sulla Chiesa “Pastor Aeternus”.
Poco dopo, il Concilio era costretto a porre termine ai suoi lavori, a causa del conflitto franco-tedesco, scoppiato all’indomani stesso della definizione dell’Infallibilità, il 19 luglio 1870.
Sei anni dopo, il 3 aprile 1876, il Sommo Pontefice Pio IX, in riconoscimento degli altissimi meriti acquisiti dal vescovo Bartolomeo D’Avanzo sia durante i 24 anni di Episcopato, sia, soprattutto, nel corso del Concilio Vaticano I, l’elevava alla dignità Cardinalizia, con il titolo presbiterale di Santa Susanna alle Terme.
La festa e l’entusiasmo dovevano durare poco, perché, appena un anno dopo, nel 1877, colto da improvviso malore, fu costretto a lasciare le sue dilette diocesi di Calvi e Teano, per ritirarsi nella nativa Avella. Il suo fisico, logorato da tanti anni di studi e fatiche, non poté resistere più a lungo. Tuttavia, anche in quello stato di forzato riposo, continuò nel governo delle due Diocesi. Sette anni dopo, il 20 ottobre 1884, essendo il suo stato di salute peggiorato rapidamente, il Cardinale Bartolomeo D’Avanzo, lasciava serenamente questa terra per volare in seno a Dio; nel suo grande cuore portava, indelebilmente scolpito, il mistico trittico che aveva costantemente scandito tutte le ore della sua vita: il Sacro Cuore, la Vergine Immacolata, il Romano Pontefice. Aveva 73 anni.
SAVERIO CANDELA