Vi proponiamo un interessante articolo pubblicato oggi dal “Messaggero” nella pagina “Cultura e Società”, dedicato ai riti arborei della Basilicata che richiamano i riti arborei (Mai) del baianese. Un articolo non sfuggito ad Antonio Vecchione, baianese doc, che da sempre ha mostrato il suo interesse nel promuovere questi antichi riti organizzando nel corso degli ultimi anni tante iniziative, oltre a scrivere testi sull’argomento.
«In un’aria vulcanica, fortemente accensibile, gli alberi respirano con un palpito inconsueto; le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo»: così scriveva nel 1947 il “poeta della Basilicata” Leonardo Sinisgalli in Lucania, tratta da I Nuovi Campi Elisi. Un’immagine elegiaca e nel contempo realistica, che rappresenta molto bene l’anima di una regione piccola geograficamente parlando, ma grande dal punto di vista della natura, della tradizione e dei riti misteriosi legati alla magia della terra. Una terra che si eleva ed espande fino a fondersi con il cielo, in una sorta di sincretismo bucolico antico dove l’uomo può solo fare capolino. Attraverso lo scorrere lento del tempo, una superficie suddivisa in 131 comuni delle province di Potenza e Matera, si estende solcando orizzonti e paesaggi suggestivi e multiformi: la montagna, protagonista del territorio occidentale, lascia il posto alla collina, la quale digradando verso il litorale incontra il mare.
Una varietà che invoglia e incentiva un turismo dalle molte sfaccettature (storico-archeologico, sportivo, enogastronomico e così via), ma sempre contraddistinto da uno spirito “green e slow”, dove per lento s’intende un’immersione totale nel patrimonio culturale, spirituale, artistico, consapevole e incontaminato, in contrapposizione a un turismo di massa più convenzionale e meno attento a itinerari unici e sostenibili. Il turista, così, diventa attore e non spettatore di un territorio selvaggio protetto dai suoi abitanti custodi, la cui cura e tutela si tramanda da secoli, in armonia con la natura, i suoi ritmi e le sue usanze. Un legame, quello tra uomo e terra, primordiale ed empatico, dominato da una lingua segreta e vicendevole che umanizza la natura e rende i volti silvani, come canta La pioggia nel pineto di D’Annunzio. Fra cristianesimo e paganesimo, numerosi borghi lucani condividono da millenni culti particolari e fortemente identitari come i riti arborei, celebrati da aprile a settembre, che hanno sempre mantenuto alto il proprio livello di forza e vitalità grazie alle pregevoli attività di valorizzazione del patrimonio immateriale ad opera delle amministrazioni e delle comunità.
Tratti tipici e diffusione delle “nozze fra gli alberi” in Lucania
Durante il periodo primaverile ed estivo, dunque, la Basilicata diventa teatro di cerimonie uniche e ricche di fascino, ovvero “le nozze fra gli alberi”, il matrimonio curioso e atipico fra un tronco e una cima di due alberi diversi, innestati tra loro fino a creare una nuova, imponente pianta: uno sposalizio simbolico che rimanda all’arcaico inno alla fecondità e augura l’abbondanza. I riti vengono solitamente celebrati in prossimità dell’equinozio di primavera, in concomitanza con la rinascita del mondo vegetale ma anche umano, per un rinnovamento materiale e spirituale della comunità lucana. Nel rito convivono aspetti sia pagani che cristiani: infatti, al significato originario legato alle tradizioni nordico-celtiche, si è aggiunta la valenza cristiana attraverso i festeggiamenti dei santi patroni dei vari paesi in cui si svolgono. Questi “matrimoni” sono quindi antichissimi e stratificati dal punto di vista culturale, religioso e geografico, tanto che gli antropologi riscontrano in tali celebrazioni tratti comuni ai culti arborei praticati in molte regioni europee, in un “giro del mondo” che tocca addirittura India e Giappone, e che dal Mediterraneo approda alla Scandinavia, dall’arco alpino alla dorsale appenninica fino in Basilicata, l’epicentro rituale dove si riscontra la più alta concentrazione.
Simboli della tradizione contadina, per l’antropologo e storico delle religioni James Frazer si tratta di celebrare l’arrivo dello “spirito fecondatore della vegetazione”, mentre Mircea Eliade, anch’esso storico delle religioni, oltre che antropologo, scrittore, filosofo e mitografo, ritiene che attraverso di essi si spieghi l’atto della creazione cosmica e la rigenerazione dell’uomo grazie al fenomeno di “resurrezione della vegetazione”. Il cerimoniale è chiaro e definito, ma, a seconda del paese, può subire alcune variazioni: generalmente, però, è previsto il taglio di un albero del bosco che viene trascinato in paese da coppie di buoi, il cui tronco viene poi unito alla sommità di un altro albero proveniente da un bosco diverso, in un legame incantato fra cielo e terra. Il tronco simboleggia il vigore maschile e la cima la parte femminile: a conclusione delle “nozze”, i più coraggiosi si arrampicheranno fino all’ultimo ramo, accompagnati dal fragore e dalla gioia della folla. Cornice imprescindibile è infatti la festa, dove i buoi, i bovari, tutte le persone e le specialità culinarie incitano e allietano lo spirito e lo svolgimento rituale.
Un momento atteso tutto l’anno, con trepidazione ed emozione, poiché i riti arborei non sono semplici celebrazioni ma veri e propri omaggi alla cultura e all’identità precipua di un luogo e delle genti che vi abitano. I “Maggiaioli” e i “Cimaioli”, pertanto, gareggiano per partecipare al corteo “degli sposi” e condurre lungo tutto il percorso la coppia di alberi, potenziando ogni anno un rito che così acquista sempre più forza e valore, rinnovando l’unione con la propria terra e le proprie radici. Sono otto, in Basilicata, i paesi in cui si celebrano i riti arborei, divisi nelle aree del Maggio (il grande albero) e dell’Abete: Accettura, Castelmezzano, Castelsaraceno, Oliveto Lucano, Pietrapertosa, Rotonda, Terranova del Pollino e Viggianello.
I matrimoni della zona del Maggio: Accettura, Castelmezzano, Oliveto Lucano, Pietrapertosa
Il rito arboreo più celebre nell’area del Maggio è quello di Accettura, dal 28 aprile al 23 giugno, dove il matrimonio avviene fra un grande cerro scelto la prima domenica dopo Pasqua nel bosco di Montepiano, e una pianta di agrifoglio selezionata la domenica successiva nella foresta di Gallipoli Cognato. La processione verso la piazza del paese inizia la domenica di Pentecoste: gli sposi procedono separatamente, accompagnati dai rispettivi “Maggiaioli” e “Cimaioli”, nonché da canti, balli e soste a base di cibo e vino. Dedicato al patrono San Giuliano, il rito raggiunge il culmine in Largo San Vito, quando il tronco e la cima vengono innestati insieme. Il matrimonio arboreo avviene l’11 giugno e la celebrazione termina il 23 giugno con l’abbattimento del Maggio. A Pietrapertosa, invece, la domenica successiva al 13 giugno va in scena “U’ Masc’”, in onore di Sant’Antonio. Il rito, che si tiene il 13, il 15 e il 16 giugno, prevede la scelta e il taglio di due alberi, sempre nel bosco di Montepiano, portati da coppie di buoi (“paricchij”) e da massari (“gualani”) fino al Convento di San Francesco, dove avviene l’unione fra tronco e cima e l’innalzamento dell’albero, che verrà in seguito scalato da un “maggiaiolo”, pronto a danzare addirittura a testa in giù, con delle corde per giungere alla sommità ricca di doni e premi.
Il Maggio di Pietrapertosa sembra trarre origine dalla dea Maja, madre di Mercurio, e dai riti connessi ad essa, ma anche dalle impiccagioni al palo innalzato sugli spalti della fortezza di Guglielmo il Giustiziere Normanno, dove oggi sorge il Convento di San Francesco. Caratteristica del paese la degustazione, il 13 giugno, del piatto denominato “la pastorale”, a base di pecora cotta nel brodo di ortaggi. Il Maggio di Oliveto Lucano, dove svettano splendidi ulivi secolari, si tiene nei giorni 10, 11 e 12 agosto: gli sposi protagonisti sono un tronco di cerro e una cima di agrifoglio scelti fra gli alberi della foresta di Gallipoli Cognato, mentre il corteo nuziale inizia la sua discesa a partire dal Monte Croccia, per un tragitto faticoso di ben otto chilometri, dove il Maggio viene trasportato non dai buoi bensì dai trattori, mentre la sposa, corrispondente alla cima, è portata dai giovani del paese, fino ad arrivare in via del Maggio per l’innesto fra i due alberi. La festa si configura come la perfetta fusione fra paganesimo e spiritualità sacra, con San Rocco che dona la sua benedizione ai novelli sposi. Sant’Antonia da Padova, invece, è il santo proprio del rito “du’ Masc’” del Maggio di Castelmezzano, il 12 e 13 settembre. Si tratta di uno dei borghi più belli d’Italia, nel cuore delle Dolomiti lucane dove spicca il “Volo dell’Angelo”, trait d’union via aria tra Castelmezzano a Pietrapertosa in un paesaggio dalla bizzarra e incredibile fisionomia. Il tronco di cerro – il vigore maschile – e la cima di agrifoglio – il femminile – vengono selezionati accuratamente nei boschi del Parco Regionale di Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti Lucane, mentre le nozze sono celebrate nella piazza del paese al termine di una processione ricca di danze, canti e banchetti con specialità tipiche come “i crosti”, dolci tipici fatti con il miele.
Castelsaraceno, Rotonda, Terranova del Pollino e Viggianello: le celebrazioni nell’area dell’Abete
La zona dell’Abete si estende tra il Monte Alpi e le cime del Pollino, abbracciando i paesi di Castelsaraceno, Rotonda, Terranova di Pollino e Viggianello. A Castelsaraceno, a cavallo tra il parco del Pollino e quello dell’Appennino lucano contraddistinto da un ponte tibetano da record e benedetto da Sant’Antonio, il rito arboreo prevede l’unione fra un tronco di faggio, il più rigoglioso fra gli alberi del Parco Nazionale del Pollino, in località Favino, e una cima di pino, tagliata sul monte Armizzone, rispettivamente la “‘ndenna” e la “cunocchia”, durante le prime tre domeniche di giugno – 2, 9 e 16 giugno –, unitamente alla festa patronale. I due sposi si incontrano la prima volta la terza domenica di giugno e l’innesto e l’innalzamento avvengono nella piazzetta di Sant’Antonio, dove verrà incoronato il giovane che riuscirà a scalare il nuovo albero per primo. Gli sposi di Rotonda, invece, sono la “rocca” e “l’a’ pitu”, un abete e un faggio, tagliati nel meraviglioso Parco del Pollino nei boschi di Terranova di Pollino e in quelli di Pedarreto. La cerimonia si celebra dall’8 al 13 giugno, anche se i festeggiamenti durano oltre un mese, con una festa travolgente (assolutamente da assaggiare i dolci rustici preparati dalle signore del paese, i “tortaneddri” e i “panetteddre”) che sancisce l’unione fra sacro e profano, Sant’Antonio e la ritualità antica più vicina alla tradizione celtica.
Unica nel suo genere, la celebrazione di Terranova di Pollino, diversamente dagli altri comuni, non adotta lo sposalizio fra tronco e cima bensì il taglio dell’“A Pit”, l’abete più alto e dritto fra quelli presenti nel bosco di Cugno dell’Acero, che viene portato in spalla dagli uomini fino in paese con l’aiuto dei buoi, in concomitanza con la festa di Sant’Antonio il 13 giugno. Il climax viene raggiunto con la scalata dell’abete, accompagnata da canti e balli. Anche i riti arborei di Viaggianello, ai piedi del massiccio del Pollino, presentano tratti tipici e peculiari, dato che il matrimonio si svolge per tre volte all’anno, in tre diverse località: la prima settimana dopo Pasqua (28 aprile), l’ultima domenica di agosto (25 agosto) e la seconda domenica di settembre (rispettivamente “l’a’ Pitu” e “la Rocca”, la danza del falcetto e il ballo dei Cirii). Feste contadine in piena regola, con la rievocazione delle antiche tradizioni e le danze per la mietitura del grano a fine agosto, in occasione delle celebrazioni religiose in onore del santo protettore San Francesco di Paola. Il matrimonio avviene nel secondo fine settimana di settembre, tra “la Rocca”, un abete, e “l’a’ Pitu”, un albero di faggio o di cerro, in località Zarafa, in nome della Madonna del Soccorso. Il corteo nuziale discende lungo le strade del territorio di Viggianello e il momento più importante coincide con l’innesto delle due piante, la parte maschile e femminile, in un clima imponente ma anche spensierato, sintesi perfetta fra rigore religioso e impulso vitalistico.
Interessantissimi questi riti arborei della Basilicata. Sono celebrazioni che affascinano non soltanto i baianesi ma tutte le nostre sei comunità. La nostra Festa del Maio di S. Stefano (insieme alle altre) è una tradizione a pieno titolo inserita in questa secolare cultura popolare. La nostra Associazione Maio, costituita alla fine degli anni ottanta con la finalità di recuperarne i significati profondi e promuoverla a livello regionale e oltre, si attivò per confrontare le nostre tradizioni con altre comunità caratterizzate dalle stesse manifestazioni folkloristiche intensamente radicate nel profondo delle nostre anime. Il 20 dicembre del 1998 organizzammo un convegno dal titolo: “Gli Alberi nel folklore contadino, MAIBAUM, MAGGIO, MAIO: confronto di esperienze e tradizioni tra Accettura (Mt), Rotonda (Pz), Alessandria del Carretto (Cs) e Baiano. Fu un memorabile evento che registrò la presenza di una folla entusiasta. Gli appassionati cittadini di Baiano per la prima volta vennero a conoscenza dell’esistenza di altre comunità con le stesse tradizioni e, soprattutto, della consapevolezza che la nostra era una festa sconosciuta appena fuori dai nostri confini. Infatti le tre comunità ospiti presentarono studi e filmati straordinari dei loro riti, curati da antropologi e da registi famosi. In particolare “I dimenticati”, un cortometraggio del 1959 sul popolo di Alessandria del Carretto, girato da Vittorio De Seta, un capolavoro, suscitò un moto di commosso entusiasmo tra i “vecchi” appassionati baianesi (Vi invito a visionare il video. La comunità di Alessandria del Carretto emerge in tutto il profondo, semplice, schietto significato della sua identità, di una villaggio che soffre uno sventurato isolamento, ma che trova il riscatto e la sua celebrazione nel “simbolo” del Maio. Una emozione per chi ama queste tradizioni). Per la prima volta invitammo Mariella D’Ausilia, docente di antropologia dell’Università di Napoli, per farle conoscere e studiare la nostra Festa del Maio. Proficua e salutare la lezione ricevuta. Subito dopo l’incontro, incaricammo Franco Scotto, il nostro artista locale, a realizzare un filmato ufficiale sulla festa. Il video fu presentato dopo qualche mese e “adottato” dalla Pro Loco. Da quel lontano 1998 il percorso di valorizzazione è andato avanti e non si è mai interrotto (o quasi)”.
Antonio Vecchione