Oggi 16 ottobre la chiesa festeggia san Gerardo Maiella, nacque a Muro Lucano (Potenza) il 6 aprile 1726. Ricevette l’istruzione elementare, ma dopo la morte del padre dovette imparare un mestiere per sostenere le precarie condizioni economiche della famiglia e fu accolto come apprendista sarto. Poco dopo chiese allo zio materno, il cappuccino Bonaventura da Muro, di essere ammesso nel suo Ordine, ma il religioso lo sconsigliò, adducendo il suo precario stato di salute. Entrò quindi a servizio del vescovo Claudio Albini rimanendovi fino alla morte di questo, avvenuta il 25 giugno 1744. Rimasto senza occupazione, rinnovò le sue richieste per entrare tra i cappuccini, ricevendo però nuovi rifiuti. Nel 1748 ebbe modo di conoscere un gruppo di religiosi della Congregazione del Santissimo Redentore (redentoristi) impegnati in una missione popolare a Muro e, contro il parere della madre, si unì alla nuova famiglia religiosa. Scappato di casa grazie all’aiuto di un lenzuolo usato per calarsi dalla finestra e lasciato un biglietto alla madre nel quale aveva scritto «Mamma, perdonami, vado a farmi santo», Gerardo si unì alla compagnia dei missionari redentoristi dai quali, solo dopo molte insistenze, venne accolto come religioso laico e il 17 maggio 1749 entrò nel convento di Deliceto, presso Foggia. Il 16 luglio 1752, festa del Santissimo Redentore, pronunciò i voti solenni nella Congregazione Redentorista fondata da sant’Alfonso Maria de’ Liguori nel 1732: nei conventi dove fu destinato si dedicò alle mansioni più umili senza trascurare la preghiera e la penitenza. Nel 1754 una giovane di Lacedonia, Nerea Caggiano, lo accusò di aver intrattenuto una relazione con lei. Gerardo l’aveva aiutata ad entrare nel monastero di madre Celeste Crostarosa a Foggia, ma dopo un breve periodo di prova la ragazza era stata dimessa e, forse a motivo della delusione subita, lo aveva denunziato ai suoi superiori. Di fronte alla grave accusa, Gerardo non cercò di scolparsi. Nel mese di giugno del 1754 la Caggiano ritrattò la calunnia e Gerardo poté riprendere le sue normali occupazioni. Nel 1755 tornò definitivamente a Caposele, dove erano in corso lavori per ampliare la fabbrica annessa al santuario dedicato alla Madonna. Gerardo aiutò dapprima gli operai; poi si dedicò alla questua in favore del santuario. A metà agosto ebbe un’emottisi, che peraltro non era la prima manifestazione del male che lo affliggeva. I medici interpretarono erroneamente i sintomi e gli praticarono salassi. Pur debilitato, Gerardo raggiunse il centro di Oliveto Citra e si fermò nella casa dell’arciprete Arcangelo Salvadore, dove si trattenne per dieci giorni, dal 22 al 31 agosto 1755, qui la leggenda narra che aveva fatto finta di dimenticare, un suo fazzoletto presso la casa di una famiglia che l’ospitava. Una bambina, allora, gli corse dietro per restituirglielo, ma Gerardo le disse di tenerlo perché un giorno le sarebbe servito. Passati alcuni anni, Gerardo era già morto, la bambina, diventata sposa, gridava per le doglie del parto. I medici la davano per spacciata. Giunta quasi in fin di vita, si ricordò del fazzoletto e volle che glielo posassero aperto sulla pancia. Appena ricevutolo, i dolori cessarono e la donna diede alla luce senza alcuna difficoltà il suo primo figlio). Ripartì da Oliveto Citra diretto a Caposele e da qui salì al santuario di Materdomini, dove giunse febbricitante e dovette mettersi a letto. Il suo stato di salute andò aggravandosi, fino a quando, consumato dalle privazioni e dalla tubercolosi, morì il 16 ottobre 1755, a 29 anni; protettore delle donne incinte e della Basilicata.
16 ottobre: santa Margherita Maria Alacoque, nacque a Lauthecourt (Francia) il 22 luglio 1647, da una famiglia di ferventi cristiani. Dopo due giorni viene battezzata. All’età di 4 anni viene affidata alle cure della madrina di battesimo e va a vivere presso di lei nel castello di Corcheval. A 5 anni Margherita, pur non comprendendo a pieno il significato di quella promessa, emette il voto di castità e inizia a vivere una intensa vita di preghiera. L’11 dicembre 1655 le muore il babbo all’età di quarant’anni. Torna in famiglia; viene però affidata ad un collegio di Clarisse, dove riceve la prima comunione. Rimane presso le Clarisse solo due anni perché si ammala gravemente a tal punto da non poter nemmeno camminare. Guarisce per un voto fatto alla Vergine. In un periodo difficile per tutta la sua famiglia, Margherita impara ad accettare le ristrettezze e la sofferenza che sopporta con fortezza tenendo fissa negli occhi l’immagine di Gesù Crocifisso e rimanendo assorta davanti al Santissimo sacramento. Nel 1669, a 22 anni riceve la Cresima e aggiunge “Maria” al nome di Margherita e il 20 giugno del 1671, a 24 anni, entra, nonostante l’opposizione della famiglia che voleva per lei un matrimonio, entra nell’Ordine della Visitazione di Santa Maria (visitandine) nel monastero di Paray-le-Monial. Ammessa alla professione, il 6 novembre 1672, Margherita Maria divenne suora. Il 27 dicembre 1673 segnò per suor Margherita Maria l’inizio di un nuovo periodo della sua vita religiosa nel monastero della Visitazione, segnato da doni mistici particolari: riferì di aver avuto un’apparizione di Gesù, che le domandava una particolare devozione al suo Sacro Cuore. Margherita avrebbe avuto tali apparizioni per 17 anni, sino alla morte. Queste rivelazioni procurarono molta sofferenza e incomprensione da parte della stessa superiora per il timore che tutto fosse frutto dell’immaginazione di quella giovane monaca che spesso veniva condotta per vie straordinarie In questo periodo l’unico suo conforto e sostegno fu quello di incontrare il padre gesuita Claudio de la Colombière che, dopo averla ascoltata, comprese che si trattava di un’anima eletta. Il padre la incoraggiò e la rassicurò sulla provenienza delle sue visioni interiori e la invitò a ricevere con umiltà quanto il Signore le inviava e ad essere sempre in atteggiamento di ubbidienza e di ringraziamento, tanto da ordinarle di scrivere le sue esperienze ascetiche in un diario. Queste rivelazioni, di cui Gesù mostra a Margherita, sono certamente una iniziativa gratuita del Signore, ma è bello vedere come il Signore l’ha condotta fin da piccola rendendola pronta e capace di portare esperienze così straordinarie. In quella che viene chiamata la grande rivelazione, scrive nel diario che Gesù le aveva mostrato il suo Sacro Cuore, chiedendole che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini fosse celebrata una festa per rendere culto al Sacro Cuore stesso e afferma anche di aver ricevuto da Gesù una grande promessa: a chi avrebbe ricevuto la comunione per nove mesi consecutivi, ogni primo venerdì del mese, sarebbe stato fatto il dono della penitenza finale. Esso consiste nella possibilità per il devoto di non morire in stato di peccato. Morì il 17 ottobre 1690, a 43 anni.
16 ottobre: santa Edvige di Andechs, nacque a Andechs (Germania) nel 1174, figlia del conte Bertoldo IV di Merania e della sua sposa Agnese di Rochlitz, che la mandarono presso il monastero delle benedettine di Kitzingen, in Franconia, per essere educata adeguatamente per andare in sposa, nel 1186, a Breslavia il duca di Slesia, Enrico I il Barbuto, dal 1233 anche duca di Polonia, della dinastia dei Piast. Edvige diede al duca sei figli (Boleslao, Corrado, Enrico, Agnese, Sofia e Gertrude) e lo affiancò in maniera egregia nella difficoltosa gestione del territorio, dal marito, governato, mostrando una grande capacità nel sapersi guadagnare la benevolenza della gente polacca. Inoltre, Edvige, diede esempio di grande sollecitudine nei confronti dei suoi sudditi più poveri, attraverso l’esempio, che comportò per lei anche la rinuncia alle ricchezze e alle comodità confacenti ad una donna del suo rango. Indossava spesso vestiti usati e scarpe vecchie. La santa fece erigere numerosi ospizi, in cui i meno abbienti venivano ospitati ed aiutati. La sua devozione la spinse nel 1202 a fondare il monastero cistercense di Trzebnica, dove, rimasta vedova, nel 1238, decise di trascorrere gli ultimi anni della sua esistenza terrena, divenendo monaca e vivendo in penitenza. Morì il 15 ottobre 1243.