a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 7 maggio la chiesa festeggia santa Flavia Domitilla, nacque a Roma intorno al 60 d.C., dalla famiglia degli imperatori Flavi. All’età di soli 9 anni perse la madre, crescendo negli ambienti del consolato romano fino a sposare un suo cugino, il console Tito Flavio Clemente, entrambi discendenti della dinastia Flavia. Nella Storia Ecclesiastica (III, 18, 4), lo storico Eusebio di Cesarea scrive di una certa Flavia Domitilla, nipote di Flavio Clemente, che fu deportata insieme con molte altre persone nell’isola di Ponza. Domitilla si rifiutò con fermezza di adorare gli dei e, nonostante le pesanti torture, continuò a professare fino alla morte la fede in Cristo. Successivamente venne martirizzata a Terracina. Ponza fu spesso meta, durante il corso della storia, di moltissime deportazioni dove i prigionieri subirono atroci sofferenza, torture e privazioni di ogni genere fino al martirio. La storia narra che centinaia furono i martiri cristiani a essere esiliati e confinati nelle isole ponziane che, in quegli anni, appartenevano esclusivamente all’imperatore. Fu proprio il diffondersi del cristianesimo a far maturare e crescere la persecuzione che aveva lo scopo di distruggere tutte quelle correnti contrarie alla dottrina pagana e a quella religiosa dei romani. Tutt’ora la chiesa principale dell’isola di Ponza, pur essendo dedicata alla Santissima Trinità, venera i due santi protettori: san Silverio papa e santa Domitilla. Mentre lo storico Dione Cassio, nella sua Historia romana (LXVII, 13-14), ci racconta che durante la Grande Persecuzione avviata dall’imperatore Diocleziano, il suo successore Domiziano fece giustiziare anche il marito di Domitilla, il console Flavio Clemente (cugino dello stesso imperatore) con l’accusa di “ateismo”. Con questa accusa venivano giudicati tutti i cristiani che si rifiutavano di adorare gli dei pagani e la condanna prevista per tutti gli atei era la confisca di tutti i beni e la morte. Domitilla morì sull’isola Pandataria (oggi Ventotene) il 7 maggio 95-100.
7 maggio: santa Rosa Venerini, nacque a Viterbo il 9 febbraio 1656, da una famiglia agiata. Rosa dotata dalla natura, di bellezza, di intelligenza e di sensibilità umana non comuni, le erano aperte varie scelte di vita: il matrimonio o la clausura. Si sentiva attratta sia per il matrimonio sia per la vita claustrale. Rosa formò la sua pietà alle fonti della spiritualità ardente di san Domenico di Guzman, per i contatti con i domenicani del santuario della Madonna de La Quercia, nei pressi di Viterbo, e a quelle della spiritualità austera di sant’Ignazio di Lojola, per la direzione dei gesuiti. Nell’autunno 1676, entrò, come esterna, per conoscere la vita claustrale, nel monastero domenicano di Santa Caterina, in Viterbo. Vi restò solo per alcuni mesi, perché la morte del padre la indusse a tornare in famiglia. Rosa, a 24 anni, voleva dare senso alla sua esistenza; quando vide la povertà spirituale e culturale, diffusa nel popolo, allora incominciò ad invitare, nella casa paterna, le fanciulle e le donne del vicinato, per la recita del Rosario. L’iniziativa, pur importante, non appagava Rosa, chiamata ad una missione più alta che individuò nell’urgenza di dedicarsi all’istruzione delle giovani, con una scuola intesa nel senso vero e proprio della parola. Rosa poté attuare il suo progetto solo dopo il matrimonio del fratello. Abbandonò, per non far pesare le sue scelte sul fratello, la casa paterna e ne prese una in affitto, dove, il 30 agosto 1685, fondò la sua prima scuola. Nasceva, a Viterbo, la scuola delle Maestre Pie Venerini, la prima scuola pubblica femminile in Italia. L’efficacia dell’opera di Rosa divenne rapidamente nota anche fuori della diocesi di Viterbo. Il cardinale Marco Antonio Barbarigo, vescovo di Montefiascone, uomo ricco di carità pastorale, capì immediatamente la genialità di Rosa e la volle nella sua diocesi, per istituirvi le scuole. Rosa operò a Montefiascone per circa due anni, dal 1692 al 1694, dove fondò una decina scuole. Non ebbe preoccupazioni economiche perché il cardinale non badava a spese, pur di elevare le condizioni spirituali e culturali delle giovani della diocesi. Rosa però sentiva l’urgenza di estendere la sua opera in altri luoghi, preparò le Maestre, formò ed istruì una giovane particolarmente dotata, santa Lucia Filippini, perché fosse in grado di sostituirla nella direzione delle scuole, quindi lasciò Montefiascone. La situazione cambiò, con l’arrivo del nuovo vescovo, Pompilio Bonaventura, Rosa, donna saggia, aperta, capace di seminare il bene senza interessi di parte, seppe rispettare i carismi e le scelte altrui. Tornò a Viterbo, riuscì a riportare all’unità, con carità, pazienza e tatto, le Maestre che avevano creato un piccolo scisma, durante la sua permanenza a Montefiascone. Rosa dopo la fondazione della prima scuola di Viterbo e di quelle di Montefiascone, continuò ad aprire scuole con ritmo ininterrotto. Ella era pronta ad andare dovunque ne fosse stata richiesta, senza temere le strettezze economiche a cui andava incontro. Lucia Filippini, nel maggio 1707, aprì una scuola a Roma, con immediato successo, ma ben presto, per difficoltà sopraggiunte, dovette ritornare a Montefiascone. Si rivolse a Rosa, sua prima Maestra, perché la sostituisse nella direzione della scuola di Roma. Rosa, umile e disponibile, accettò. Si recò a Roma nel dicembre dello stesso anno. Le alunne, però, attratte dalla giovinezza della Filippini, non accettarono Rosa. Rosa che non cercava il successo personale, ma solo la gloria di Dio, accettò la situazione e, nel marzo 1708, fece ritorno a Viterbo, per dedicarsi alle sue scuole. Rosa aprì la sua scuola, a Roma, l’8 dicembre 1713, nella parrocchia di S. Venanzio, dove si stabilì definitivamente a Roma. Morì il 7 maggio 1728, a 72 anni per tumore al seno.
7 maggio: sant’Agostino Roscelli, nacque a Bargone di Casarza Ligure (Genova) il 27 luglio 1818, da una famiglia povera di mezzi materiali ma ricca di fede e di virtù cristiane. Intelligente, sensibile, piuttosto riservato, Agostino si rese presto utile alla famiglia nella custodia del gregge paterno. Nel maggio 1835, in occasione di una missione animata dall’arciprete di Chiavari sant’Antonio Maria Gianelli, Agostino si sentì chiamato al sacerdozio e si trasferì a Genova per intraprendere gli studi. Gli anni di preparazione al sacerdozio furono duri e difficili, sopportati grazie ad una tenace volontà, alla preghiera intensa e al sostegno di persone come il canonico sant’Antonio Maria Gianelli; questi, divenuto nel frattempo vescovo di Bobbio nel 1838, gli trovò una sistemazione in qualità di chierico-sacrestano nella chiesa presso il Conservatorio delle Figlie di San Giuseppe. Nel 1845 fu prefetto presso un collegio dei padri gesuiti. Ordinato sacerdote il 19 settembre 1846, fu assegnato come vice-parroco nella Parrocchia di San Martino d’Albaro, a Genova, e dal 1858 cominciò a collaborare con l’Opera degli Artigianelli. Nel confessionale acquisì una concreta conoscenza della triste condizione sociale in cui venivano a trovarsi tante giovani che, per motivi di lavoro, si trasferivano in città. Dal 1872 si occupò dei detenuti del carcere di Sant’Andrea e due anni dopo, nel 1874, diventò cappellano del brefotrofio provinciale del capoluogo ligure. L’idea di dar vita ad una congregazione religiosa fu incoraggiata, dal vescovo di Genova, Salvatore Magnasco, e dalle collaboratrici di Agostino, le maestre delle Case-Laboratorio, ben convinte che la consacrazione a Cristo e l’impegno di santificazione nella vita comunitaria sono la forza dell’apostolato. Agostino, interpellò anche papa Pio IX che gli rispose Deus benedicat te et opera tua bona (Dio benedica te e la tua buona opera). Il 15 ottobre 1876 fondò l’Istituto delle Suore dell’Immacolata Concezione. Morì a Genova il 7 maggio 1902, a 83 anni.
7 maggio: beato Francesco Paleari, nacque a Pogliano Milanese (Milano) il 22 ottobre 1863, da una famiglia modesta, ricca solo di fede e di lavoro, dove crebbe con un carattere sereno, gioioso e ben disposto verso tutti. L’8 gennaio 1877 entrò nel Seminario della Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino, fondata da san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Questo Seminario, posto sotto la protezione di San Tommaso d’Aquino e perciò detto “Famiglia dei Tommasini”, accoglieva aspiranti al sacerdozio privi di mezzi economici. Si iscrisse al Terz’Ordine Francescano fin dai primi anni del suo chiericato, rinnovando la sua adesione nel 1920 e nel 1927. Compiuti gli studi teologici con ottimi risultati, il 18 settembre 1886 fu ordinato sacerdote, a 23 anni. Come gli era stato insegnato, pensava di dedicarsi tutto ai poveri, ai malati, ai disabili, ai bambini in difficoltà, nella “Piccola Casa”, in silenzio e nascondimento. Un sacerdote tutto carità, piuttosto colto e subito fu chiamato a insegnare latino, poi filosofia nel Seminario dei “Tommasini”, poi anche nel Seminario dei Missionari della Consolata, fondati dal beato Giuseppe Allamano di cui fu consigliere e collaboratore. Per più di 40 anni fu confessore e direttore spirituale del seminario diocesano e predicatore di esercizi spirituali. In tutto si mostrava animato dallo stesso spirito di carità del Santo Fondatore, che amava soccorrere ogni forma di povertà, materiale e spirituale, fidando in maniera sconfinata nella Divina Provvidenza. Nel 1922 fu nominato Canonico della Collegiata della Santissima Trinità di Torino. Fu anche, nel 1931, Provicario generale della diocesi e Vicario per la Vita Consacrata dell’arcidiocesi torinese. Gli ultimi tre anni della sua vita furono segnati da una malattia cardiaca che però non gli impedì di esercitare la sua missione di confessore. Morì a Torino il 7 maggio 1939.