di Antonio Vecchione
I nostri giochi erano semplici, basati su destrezza e abilità, sull’inventiva, più che su costosi giocattoli o preziosi gingilli; bastava poco per far correre la nostra fantasia. Indimenticabile resta il fascino che esercitava su di noi un evento straordinario, la gara motociclistica Milano – Taranto. Una gara massacrante, di circa mille chilometri, che attraversava l’Italia intera, da Nord a Sud, passando per Baiano. Che spettacolo per noi ragazzi vedere quei bolidi colorati sfrecciare sulla strada nazionale, con i piloti, coperti da caschi e occhialoni, impegnati nel tagliare la curva a gomito del Notaio (nei pressi della cupa di S. Giacomo), chini quasi a sfiorare l’asfalto, oppure i navigatori seduti nel sidecar, che, per bilanciare il peso della moto, protendevano il loro busto lateralmente, sfidando la legge gravitazionale. Era un mondo che, paragonato alla normalità del nostro, appariva affascinante, galattico, che, magicamente, si materializzava ogni anno, come nelle fiabe più belle. I rombi delle grosse cilindrate ci svegliavano di mattina presto e costituivano un’attrazione irresistibile. A frotte raggiungevamo la nazionale uscendo dai Vesuni o da S. Giacomo, per sederci ai bordi della strada, sulle verdi “cunette”, all’epoca curate e coltivate a prato. Balle di paglia erano sistemate a protezione delle curve più strette e pericolose, come quella in corrispondenza della casa di Pasqualino o rutaro. La nostra fantasia viaggiava e ci vedevamo protagonisti di questo enorme circo colorato, pur sapendo che si trattava soltanto di un sogno. Non così la pensava Ninuccio Masi, figlio di Agostino, farmacista di Baiano. Appassionato di motociclette, ne possedeva una con la quale scorrazzava per il paese, invidiato ed ammirato da tutti, rendendosi protagonista, spesso, di temerarie imprese, che poi raccontava con dovizia di particolari, contribuendo alla sua immagine di spericolato corridore. Il passaggio della Milano – Taranto per Baiano lo esaltava in modo particolare. Sentiva di appartenere a quel mondo e smaniava correndo con la moto, in tutte le direzioni, come se fosse un protagonista. Il suo idolo era un campione di quei tempi, di nome Francisci, dominatore di quella stagione motociclistica. Incontrarlo era la sua massima aspirazione e per realizzarla, in uno dei passaggi per Baiano, escogitò un piano geniale, con la collaborazione di due giovani amici dei Vesuni, Raffaele Albanese e Angelo Napolitano. Tutti noi ragazzini, al corrente delle intenzioni di Ninuccio, prendemmo posto alla solita curva della nazionale, seduti tra le cunette, smaniosi di gustarci l’ennesima impresa del nostro eroe – pilota. Quando Francisci sbuca dalla curva di Pasqualino ‘o rutaro, Ninuccio, spericolato, lo affianca con la sua moto nel breve tratto rettilineo, alle spalle del cimitero. Il campione, infastidito, gli fa ampi segni di allontanarsi. Nulla può fare, quando, all’uscita della curva del notaio, all’incrocio della cupa di S. Giacomo, si trova la strada sbarrata da due asini, cavalcati dai complici di Ninuccio, che ingombrano completamente la carreggiata. Costretto a frenare, rallenta fino a bloccare la corsa della moto. Ninuccio, rapido come il fulmine, si avvicina e gli stringe la mano, tra le imprecazioni di Francisci e gli applausi scroscianti di tutti noi ragazzi attenti a tutta la scena. Come i ciucci liberano la strada, Ninuccio accelera e si eclissa; il campione esita a ripartire e continua, stranamente, ad imprecare, a guardarsi intorno, per poi, lentamente, andar via. Soltanto dopo ne comprendiamo il motivo. Ninuccio, rombando soddisfatto, ritorna sulla nazionale esibendo, come trofeo, un guanto di Francisci: è riuscito a sfilarglielo mente gli stringeva la mano, prima di scappare via.