Oggi 26 ottobre la chiesa festeggia sant’Alberto il Grande re del Wessex, nacque a Wantage (Gran Bretagna) nell’849, figlio di Etelvulfo, re del Wessex, e fratello e successore del re Etelredo I. Divenne re del Wessex (antico regno dei Sassoni, nella Gran Bretagna meridionale) dall’871 all’878 e re degli Anglosassoni dall’878 all’899. A 5 anni, nell’853, si dice sia stato mandato a Roma, dove fu cresimato da papa Leone IV, che si dice lo abbia “unto come re”. In seguito gli scrittori presero questa come un’incoronazione anticipata in preparazione della sua successione al trono del Wessex. Ciò non può essere successo nell’853, in quanto Alfredo aveva tre fratelli maggiori ancora in vita. Nell’868 Alfredo sposò Ealhswith, figlia di Etelredo Mucill, che era il priore magistrato dei Gaini, un popolo che viveva nel Lincolnshire. Dopo aver sostenuto una lotta accanita contro gli Scandinavi invasori e in particolare contro i Danesi, che già dal tempo del regno di suo padre Etelvulfo avevano invaso il Wessex e sotto il regno del fratello Etelredo I erano quasi riusciti a sommergere tutta l’Inghilterra, impose la propria superiorità sui Regni Anglo-Danesi con le vittorie militari di Ethandun, di Benfleet, di Buttington. Ripristinò l’autorità regia e preparò l’unità del Paese; nonostante le difficoltà del suo regno, riuscì comunque a promuovere una splendida rinascita della civiltà anglosassone. Diffuse la cultura attraverso traduzioni di opere latine, come la “Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum” di san Beda il Venerabile, monaco anglosassone e Dottore della Chiesa; inoltre incoraggiando la composizione di opere storiche e scrivendone lui stesso (Cronaca degli Anglosassoni). Riorganizzò l’amministrazione dello Stato e notevole fu anche la sua opera legislativa, volta a superare il vecchio diritto consuetudinario germanico. Come si vede, eccelsa figura storica di regnante che meritò l’appellativo “il Grande”, che questo poi abbia determinato anche il titolo di santo e cosa da inquadrare nella mentalità e religiosità dell’epoca. Morì nell’899, a 50 anni.
26 ottobre: santi Luciano e Marciano, nati e cresciuti in Nicomedia, ed allevati nel paganesimo, i due vivevano immersi nelle più abominevoli dissolutezze, erano dediti a una vita sfrenata, votata al piacere, alla lussuria e alle più ripugnanti dissolutezze. La conversione avvenne quando, volendo essi indurre una vergine cristiana a consentire alle loro infami voglie, ricorrendo a ciò che c’è di più abominevole nell’arte magica, di cui erano maestri, tutti i loro sforzi risultarono vani. Gli stessi demoni furono costretti a confessare di non avere alcun potere sopra quelli che appartengono a Gesù Cristo; questa confessione, strappata dalla bocca del padre della menzogna, fece una forte impressione nell’animo di Luciano e Marciano. In essi, l’onnipotente grazia del Signore ispirò loro l’amore della virtù ed un estremo odio ed avversione alle loro detestabili scelleratezze. Da una vita pagana e dedita al male, i due sono riusciti a trovare la via del bene, a pentirsi e a conquistare così la grazia del Signore, nel cui nome hanno poi sacrificato le loro vite. Per far vedere, poi, con le opere, la sincerità della loro conversione, bruciarono in una pubblica piazza tutti i libri di magia, manifestando, con quest’atto, la rinuncia alle loro profane superstizioni. Coronarono, infine, la loro vita con il martirio a Nicomedia in Bitinia, l’odierna Turchia: si tramanda che siano stati messi al rogo, sotto l’imperatore Decio, per ordine del proconsole Sabino, affrontarono la morte con dignità e purificati dai loro peccati grazie alla forza della loro fede in Cristo.