Talune persone ritengono necessaria la compagnia di un animale domestico, per lo più un cane od un gatto. Usando un’espressione, forse banale, ma veritiera, questi animali entrano a far parte della vita di una persona e, quando muoiono, si soffre e se ne resta profondamente turbati, soprattutto se vi è stata condivisione di un lungo vissuto insieme. La morte di una bestiola, che “cresce e vive“ con delle persone, provoca sofferenza emotiva ed angoscia per la perdita del legame che, certamente, si può definire di natura affettiva, condizionando in peggio l’esistenza quotidiana della famiglia ospitante. Invero, il cane od il gatto non rappresenta un valore patrimoniale per il padrone, ma un essere vivente nei confronti del quale sono rivolte attenzione, cure, gioia, affetto ed organizzazione della propria quotidianità. Tant’è che la Suprema Corte ha stabilito che, a seguito della morte del proprio animale, “il proprietario può chiedere il ristoro dei danni patrimoniali e morali subiti”. È quanto emerge dalla sentenza pubblicata il 25 gennaio dalla sezione civile del tribunale di Prato con un orientamento difforme. Per il giudice di merito, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, il motivo è fondato e, al riguardo, ha ricordato che” Scatta il danno morale per la morte del cane perché Fido è uno di famiglia. Il rapporto che s’instaura fra l’uomo e l’animale d’affezione costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale: è dunque dovuto il risarcimento dall’autore dell’illecito se il padrone dimostra di aver patito un effettivo pregiudizio in termini di sofferenza per la dipartita del “quattrozampe”. E la prova può essere fornita per presunzioni, mentre sulla liquidazione pesa anche il prematuro decesso del cane. Insomma: non resta che pagare al gestore della pensione, dopo la morte della cagnolina affidatagli in agosto, per non averla curata quando si è sentita male. Dunque. accolta la domanda proposta dalla famiglia difesa dall’avvocata Irene Frasconi. Costa cara al responsabile dell’illecito la morte di Adel, la Samoiedo portata in pensione per le vacanze estive: pagherà in tutto 26 mila euro, fra danno patrimoniale, morale e spese di giudizio. Forse per il caldo la cagnolina ha la diarrea e una volontaria cinofila si offre di accompagnarla dal veterinario, ma il gestore non raccoglie l’invito: i padroni dell’animale apprendono della morte direttamente dalla polizia municipale e sporgono denuncia-querela. Anzitutto il danno patrimoniale, pari a 1.373 euro: il valore del cane, il servizio di pensione, le spese per l’autopsia e le spoglie dell’animale, l’accesso agli atti al Comune. Il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia: grazie alla presunzione semplice i padroni dell’animale provano che al momento della consegna Adel è in salute (in realtà credono di affidare la cagnolina a un’associazione cui si erano rivolti in passato). Ammonta invece a 18 mila euro il danno morale: 6 mila per la padrona del cane, 4 mila al marito e ai due figli, liquidati secondo equità ex articolo 1226 Cc, considerando che il cane è morto a 5 anni a dieci mesi rispetto a una vita media di dieci-quindici. Il giudice non aderisce all’orientamento tradizionale nella giurisprudenza di legittimità: la perdita dell’animale d’affezione ben può ledere l’interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva; pesano le foto prodotte in giudizio, che ritraggono la famiglia in gita con Adel, la cagnolina nel lettone e perfino davanti alla sua torta di compleanno. L’esistenza del forte legame sentimentale fa presumere che dal decesso siano derivati una forte sofferenza e un profondo patema d’animo, il tutto sulla base di elementi indiziari diversi dal fatto in sé della morte del cane”.