di Gianni Amodeo
Teatro da Camera.
Non inganni, l’ovattata locuzione, con l’elegante vezzo delle iniziali in maiuscolo, che dà titolo al ciclo di spettacoli in svolgimento, indetto ed organizzato da Proteatro, l’eccellente e prestigiosa cooperativa impegnata in modo attivo e proficuo nella diffusione e valorizzazione dell’arte scenica sul territorio, sulla scia di un encomiabile e convincente background, intessuto di significative esperienze e importanti riconoscimenti. Una locuzione, che, nell’immediatezza della spontanea e scherzosa celia, fa ravvivare ed echeggiare vicende di frivole leggerezze, nell’intreccio di ambigue allusioni e, forse, anche di godibili divagazioni in bizzarro mix, per cedere passo e spazio all’intrattenimento insulso ed effimero, così come si potrebbe vivere in pretenziosi ed esclusivi ambienti, vagamente elitari.
Una pista impraticabile. In sostanza, nulla di tutto ciò, fosse pure in labili passaggi, è ravvisabile nei linguaggi e nelle trame di racconto degli appuntamenti, che, a cadenza mensile, dallo scorso novembre vengono connotando l’ alto rango identificativo della polimorfa configurazione di Teatro da Camera, un interessante e innovativo cantiere di sperimentazione, ideato e allestito proprio dalla cooperativa di piazza IV Novembre. Un cantiere che riproduce e riverbera i crismi di un arioso e organico progetto, con l’obiettivo aperto a largo raggio sul valore della pregnante espressività, di cui vive il teatro, nel rendersi testimone e specchio della contemporaneità e dell’ autentica realtà dei suoi multiformi profili, spesso misconosciuti ed elusi sui tornanti delle ipocrisie particolaristiche e dell’ignoranza voluta, quando non sono del tutto travisati o mistificati dall’appiattimento sul comodo e scialbo pensiero del conformismo dominante e corrente.
Come dire, il canone del teatro– vita e del teatro– riflessione che s’invera. E’ davvero una prospettiva di allettante e ampio respiro, quella tracciata dal … pensatoio, cui sovraintendono Franco Scotto, Felice D’Anna e Antonio Lippiello, e che alberga a proprio agio ed operosità nel cantiere di Teatro da Camera. Una condizione di ospitalità più che accogliente, sotto tutte le angolature di osservazione. In questa visuale si colloca – E non dovevo essere Io – lo spettacolo d’apertura di Teatro da Camera. Una vivace e penetrante performance interpretata dal versatile Francesco Rivieccio, che vive la condizione del giovane attore di teatro e del suo angelo custode che diventa ed è, forse, anche la personale autocoscienza. E’ lo sdoppiamento, per il quale il protagonista focalizza e narra personali progetti, delusioni, amarezze, storie, errori, viaggi, provini mal accolti, gioie e riconoscimenti in cui si riversa e trabocca il suo amore verso il teatro, mentre l’angelo custode n’è guida diligente, oltre che un approdo di sicurezza, protettivo e rassicurante. Un affidabile alter ego. Ed anche il doppio ruolo che vivono, da un verso, l’attore con le sue aspirazioni, e dall’altro il personale angelo custode, corrisponde nella sostanza a quello che rapporta l’ attore al personaggio, a cui dà vita, voce e pensiero in scena. E’ la connessione che impegna l’ attore a calarsi nel personaggio, proteggendolo nella sua entità e facendolo rivivere nell’autenticità negli comportamenti, stili e atteggiamenti.
Bar, con protagonista Roberta Frascati, per la regia di Franco Nappi e Riccardo Pisani, e Memorie di guerra, con protagonista Martha Festa, e regia di Jessica Festa, dal testo di Audrey Franck, sono le performance che integrano e completano l’ouverture di Teatro da Camera. Singolare e stimolante, il mondo di Marta, ragazza di paese e protagonista di Bar, decide di vivere in città, dalle cui mille attrattive, ritmi veloci e novità resta avvinta e affascinata. Una scelta di vita che si protrae nel tempo con tante esperienze che gradualmente non lasciano più segni, perdendo appetibilità. E’ il percorso, per il quale Marta matura la volontà di riappropriarsi del proprio tempo e della propria interiorità. E’ la scelta che coincide con l’acquisto e la gestione di un Bar, luogo- non luogo. E’ la scelta, in virtù della quale tra il sognare nella vita e con la vita della città con le sue fallaci e avvolgenti lusinghe, Marta sceglie di vivere la sua interiorità e la consapevolezza di persona umana.
A completare il tris d’ ouverture di Teatro da Camera, riflettori puntati sugli eterni ritorni delle guerre. Un riandare nei meandri e percorsi della storia, quando l’umanità smarrisce il senso e il valore della vita. Un riandare che si rinnova nei nostri giorni, pur a fronte di un processo di incivilimento e progresso tecno- scientifico di vasta scala, quale mai prima è stato sperimentato e vissuto. Sono le contraddizioni permanenti dell’umana condizione, puntualizzate e marcate a tutto tondo da Martha Festa, con la regia di Jessica Anna Festa, seguendo il filo dell’amara e sofferta narrazione di Audrey Franck nelle pagine di Memorie di guerra. E’ la narrazione, che ha poche righe di epilogo testuale, di cui, forse, vale fare menzione. Purtroppo la gente non impara granché dalla guerra. Avevamo talmente bisogno l’ uno dell’altro che eravamo buoni, ci nascondevamo a vicenda, ci sfamavamo a vicenda. Ma quando tutto finì, la gente fu di nuovo la stessa, cattiva e pettegola.
Teatro da Camera, al filtro degli accennati passaggi d’ouverture, indica per Proteatro un’interessante prospettiva, ch’è anche e soprattutto ricerca culturale, per la quale è chiamato ad alzare l’asticella dell’impegno organizzativo e di programmazione, coniugando la dimensione del teatro– propulsore – culturale e del teatro – animazione – sociale. Un versante, in cui ha dimostrato di operare costantemente con criterio e qualità di scelte, rapportandosi strutturalmente alle realtà del territorio, ad Avella, con particolare risalto per le manifestazioni ed esperienze animate da Riccardo D’ Avanzo.
Chiave di volta della sequenza di Teatro da Camera, è la rappresentazione di monologhi, autentici e articolati fili tematici, ispirati da storie di vita, o verosimili, riflesso dei profondi e convulsi cambiamenti sociali dei nostri giorni, nel cui incrocio si dipana e innerva l’essenza significativa degli spettacoli. Sono piattaforme, quelle proposte nelle distinte rappresentazioni spettacolari dalle \ dagli interpreti monologanti, che, nel polarizzare, in senso lato e diretto, lo spirito d’osservazione e lo spirito critico di spettatrici e spettatori, ne sollecitano le aperture al dialogo e al confronto, che si nutrono e sviluppano nella circolarità delle idee, così come lievitano e sono suscitate dall’impianto concettuale dei monologhi inscenati. E’ la dimensione, per la quale spettatrici e spettatori nella loro singolarità personale possono atteggiarsi in interpreti in scena. E’ il teatro, che nell’interazione delle sue componenti, si fa ambiente variegato e ricco di suggestioni, facendo ri-vivere infinite storie nelle più disparate e diversificate rappresentazioni.
E merita rilievo la dimensione fisica della sperimentazione, lanciata da Proteatro, quale si ritrova e vibra nell’ assetto dello spazio scenico, del tutto scabro e disadorno per comune e generale scelta di regia, in cui agiscono le attrici \ gli attori in monologo. E’ l’assetto, che, a sua volta, si salda e integra con lo spazio riservato al pubblico, la cui composizione – è la novità – si attesta sulla soglia massima di 40, tra spettatrici e spettatori, le anime del pubblico, E’ un limite prescelto, che corrisponde alle ragioni del confronto– dialogo, tra gli assi praticabili di Terra da camera, calibrata sull’essenzialità dialettica, che accomuna appunto attrici \ attori e pubblico, nel raccontare in scena la realtà umana.
E’ lo spazio, che con abili scelte di assetto logistico, Proteatro ha delimitato all’interno dell’ex- Sarno, una delle due Sale cinematografiche,- l’altra, il Colosseo, con platea e galleria, era anche location teatrale, un vero e proprio gioiello costruttivo -, che dalla fine degli anni ’40 e fino agli anni ’70 del secolo scorso sono state operative sul territorio, con straordinarie frequentazione di pubblico, specie negli anni ‘ 50 e ‘ 60, sette giorni– su– sette. E l’ ex– Sarno è da alcuni costituisce il centro nevralgico di Proteatro, un vero e dinamico Laboratorio di intense attività, ciclo continuo. E la preparazione degli spettacoli inseriti nella programmazione stagionale di Proteatro, si coniuga con i corsi di formazione, frequentati da ragazze e ragazzi, con periodici appuntamenti spettacolari.
Sono articolazioni e manifestazioni, quelle di Proteatro, che per se stesse conferiscono a piazza IV Novembre e ai suoi svettanti tigli, un bel tocco di classe e sociale animazione. In più.