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di Antonio Vecchione
“Baiano e il Culto di S. Stefano tra ieri e oggi”, è il tema dell’incontro organizzato dal Comitato Festa che si terrà domani con gli alunni della scuola Primaria. Per l’occasione è opportuno ricordare il libro di Orazio Bocciero e Antonio Vecchione “Baiano e S. Stefano. Celebrazione centenaria del miracolo del 26 febbraio 1903. Notizie e riflessioni”, pubblicato nel febbraio del 2004 su invito di don Fiorelmo.
A distanza di 21 anni questo libro ci restituisce non soltanto il racconto dell’epidemia e del miracolo che sottrasse Baiano al suo esiziale abbraccio ma anche della commossa, schietta, intensa partecipazione popolare, delle significative testimonianze delle varie autorità religiose e laiche intervenute, delle memorie e degli eventi importanti che caratterizzarono quella celebrazione. Un miracolo che toccò profondamente l’anima popolare di Baiano e che ripetiamo nella sua nuda essenzialità: tra gennaio e febbraio dell’anno di grazia 1903 una epidemia di vaiolo colpì con inaudita violenza Baiano causando una lunghissima teoria di atroci decessi, specie tra i vecchi ed i bambini del paese.
Il miracolo: il 26 di febbraio di quell’anno l’intera comunità paesana, prostrata dal dolore e dalle sofferenze, disperata per non vedere una possibile risoluzione positiva della tragica situazione, come ultima speranza, prima di rassegnarsi al peggio, si appellò a Santo Stefano, già dichiarato suo specialissimo protettore.
Tutti, indistintamente, i baianesi in grado di uscire di casa si avviarono verso la chiesa e lì, in ginocchio e piangenti, si prosternarono davanti alla statua del Protomartire gridando: «Ci siamo messi da lungo tempo sotto la tua protezione, ti abbiamo onorato e ti siamo stati fedeli, almeno quanto possono e sanno gli uomini. Ora la morte ci alita sulla nuca il suo respiro gelido. Moltissimi nostri cari, tuoi devoti se ne sono già andati. Siamo rimasti in pochi e ci resti solo tu: sei la nostra risorsa ultimativa ! Salvaci ! Salva il tuo Baiano ! Chiedilo per noi a Dio Padre Onnipotente ! Facci grazia !».
Se lo issarono sulle spalle e lo portarono in processione per il paese, per tutte le strade del paese nelle quali il dolore, la disperazione e la sporcizia dominavano su un tetro sfondo di morte.
E Stefano Levita si commosse.
Vide il suo popolo ridotto in condizioni miserande e n’ebbe pietà: il sommo Iddio, implorato da tanto intercessore concesse la grazia: il morbo immediatamente regredì, si fermò ed il paese fu salvo.
Dalla prefazione.
La struttura del testo, i suoi molti registri e linguaggi, le sue immagini in bianco e nero, le note lontane dei canti e delle poesie vernacolari, altro non sono che tappe di un lungo viaggio, tutto in salita: un intero popolo che ripercorre il proprio corpo collettivo, che recupera le tappe, i gesti, le ragioni della propria Fede, della propria devozione spirituale, della propria storia nel segno di Santo Stefano Protomartire, un Itinerario Mentis, pellegrinaggio ideale al termine del quale c’è la propria identità, quella alla quale non si vuole e non di deve rinunciare.