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Gerardo Allocca
Con quest’anno sono 425 gli anniversari del sacrificio di Giordano Bruno (1548-1600) per mano del fanatismo e dell’ottusità vaticana, che in questa giornata lo arse vivo in Campo de’ fiori, in Roma. Un omicidio in perfetto stile, di cui la Chiesa non ha mai fatto ammenda.
Grazie a noi che ora lo ricordiamo, il Bruno, con una riflessione su un breve passo della commedia Il Candelaio, da lui composta a Parigi, presso la corte francese, ma ambientata nella Napoli fine ‘500, egli torna a vivere, laddove i suoi aguzzini giacciono per sempre nell’oblio.
Nel passo, la scena XIII del I atto del copione, Marta, la consorte di Bartolomeo, cita il monte Cicala, che altro non è se non la collina di Castelcicala in Nola, che Bruno ben conosceva , e oltre tutto si pensa che su quell’altura fosse ubicata la casa natale del letterato e filosofo nolano. Marta descrive la vita presente del marito, tutto dedito alla pratica illusoria dell’alchimia e alla ricerca della pietra filosofale.
Bartolomeo è una specie di Avaro del Moliere ante litteram, che si fa come una fissazione dell’oro e della ricchezza e vive solo per quello. Un sintomo dell’incipiente secentismo e barocchismo, di cui Giordano Bruno fu un magnifico precursore in letteratura, mediante una prosa che servì sicuramente di lezione ad autori contemporanei come James Joyce e che risulta sorprendentemente attuale
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“SCENA XIII
Marta sola
— Credo che Sautanasso, Barsabucco e tutti quelli che squagliano, sel prenderanno per compagno; per che saprà egli attizzar il fuoco dell’inferno per suffriggere e rostire l’anime dannate. La faccia di mio marito assomiglia ad uno il quale è stato trent’anni a far carboni alla montagna di Scarvaita, che sta da là del monte de Cicala > . Non sta cossì volentieri pesce in acqua, come lui presso que’ carboni vivi a fumegarse tutto il giorno (non voglio maldirlo): poi mi viene avanti con quelli occhi rossi et arsi di sorte che rassomiglia a Luciferre. In fine non è fatica tanto grave che l’amore non faccia non solamente lieve, ma piacevole. Ecco costui per essergli ficcato nel cervello la speranza di far la pietra filosofale, è dovenuto a tale che il suo fastidio è il mangiare, la sua inquietitudine è il trovarsi a letto, la notte sempre gli par lunga come a putti che hanno qualche abito nuovo da vestirsi. Ogni cosa gli dà noia, ogni altro tempo gli è amaro: e solo il suo paradiso è la fornace. Le sue gemme e pietre preciose son gli carboni, gli angeli son le bozzole che sono attaccate in ordinanza ne’ fornelli con que’ nasi di vetro da cqua; e da llà tanti lambicchi di ferro, e de più grandi e de più piccoli e di mezzani. E che salta, e che balla, e che canta quel sciagurato che mi fa sovvenire dell’asino. Poco fa, per veder che cosa facess’egli, ho posto l’occhio ad una rima de la porta, e l’ho veduto assiso sopra la sedia a modo di catedrante, con una gamba distesa da cqua et un’altra distesa da llà, guardando gli travi della intempiatura della camera; a’ quali, dopo aver cennato tre volte co la testa, disse: «Voi, voi impiastrarò di stelle fatte di oro massiccio». Poi non so che si borbottasse guardando le casce e voltando il viso a’ scrigni. «Mia fé» dissi io, «penso che questi presto saranno pieni di doppioni». — Oh, ecco Sanguino”
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Il Candelaio è una commedia di Giordano Bruno giocata sul filo della più stringente comicità. Essa rappresenta una fiera satira della realtà di allora, che va a colpire la società tutta, compreso il clero. E’ un mondo, quello, dove l’imbroglio e le ruberie, la superstizione, l’adulterio e la prostituzione, la pedanteria e l’ignoranza la fanno da padroni. Bonifacio vuole conquistare la signora Vittoria, in verità una bagascia, e si affida tra l’altro, per riuscire, al fattucchiere Scaramurè, perché streghi la donna, al pedante Manfurio, perché la conquisti con un carme. Bartolomeo per conto suo s’illude di tramutare il rame e altri vili metalli in oro con chimeriche pratiche alchemiche, Manfurio esercita la professione di professore e scrivano, ma lo fa ricorrendo spesso al fumo di discorsi insensati e vuoti con frequente presenza di formule latine incomprensibili.
Bonifacio si serve anche di un pittore, Gioanbernardo, perché gli faccia un ritratto dove appaia più bello da innamorare Vittoria, ma Gioanbernardo gliene combina più d’una a suo scorno. Gli fissa un appuntamento con la cortigiana, ma all’appuntamento fa intervenire la moglie di lui, Carubina e questa lo coglie sul fatto. Poi, oltre a irriderlo, lo bastona pure, con un altro trucco. Bastonati e derubati saranno anche lo stolto Bartolomeo, per la sua insulsa credenza nell’alchimia e Manfurio, per la sua astruseria pedantesca e ciarlateneria.
In sostanza, Il Candelaio è un’opera di alto valore storico, perché costituisce un agile e vivace testo di teatro moderno e realistico, che sfugge al modello di quello antico romano plautino. Inoltre, mette a nudo i difetti e vizi della contemporaneità, sottolineando ancor più la crisi morale già dipinta da Machiavelli nella Mandragola. Qui non si tratta solo di mettere alla berlina il clero, cosa che aveva fatto già il fiorentino, parlando di quel frate che architetta un adulterio per procurare una discendenza a un nobile, ma l’intera umanità dell’epoca. Siamo infatti sulla dirittura d’arrivo del ‘500 e Giordano Bruno, anziché celebrare i fasti del Rinascimento come nel toscano, ne esplicita l’esaurimento e il crollo, che sfocerà nel barocchismo del secolo appresso, di cui il Nolano, dicevamo, è un geniale precursore.
Una società, del resto, non molto sostanzialmente diversa da oggi, in cui assistiamo al crollo delle ideologie del novecento, tra cui il comunismo, e in cui la globalizzazione attraverso i media esercita una vera e propria tirannia sui cittadini del mondo d’oggi, compresa quest’Italia alla mercé di leve di comando autocratiche e dove la cultura viene gestita da annosi clan, gelosi dei loro privilegi.