
Il 16 marzo 1978 è una data che segna uno degli episodi più drammatici della storia italiana del dopoguerra: il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Questo evento, avvenuto a Roma in via Fani, scosse profondamente il Paese, segnando un punto di svolta nella lotta tra lo Stato e il terrorismo.
Alla fine degli anni ’70, l’Italia era attraversata da un periodo di grande instabilità politica e sociale, noto come “Anni di Piombo”. Durante questi anni, gruppi estremisti, tra cui le Brigate Rosse (BR), portarono avanti una strategia di attacchi contro lo Stato, con attentati, sequestri e omicidi mirati. Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana (DC) ed ex presidente del Consiglio, era uno dei protagonisti della scena politica italiana e sostenitore del cosiddetto “compromesso storico”, un’alleanza tra DC e Partito Comunista Italiano (PCI) che avrebbe potuto modificare profondamente gli equilibri politici del Paese.
La mattina del 16 marzo 1978, Aldo Moro stava viaggiando verso Montecitorio per partecipare al voto di fiducia del nuovo governo guidato da Giulio Andreotti. Intorno alle 9:00, in via Fani, un commando delle Brigate Rosse tese un’imboscata alla sua scorta. L’attacco fu brutale e fulmineo: in pochi secondi, i brigatisti uccisero i cinque agenti di scorta – Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino – e sequestrarono Moro, portandolo via su una Fiat 132.