Quando si parla dell’arretratezza del Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia e delle sue ragioni è facile cadere nei luoghi comuni, lasciarsi andare ai più beceri pregiudizi e stereotipi oppure per orgoglio farsi ammaliare dalle sirene di facili miti auto-assolutori.
Si tratta senz’altro di una questione complessa, frustrante e meschina, che il nostro Paese si porta dietro sin dalla sua nascita come Stato moderno e che, salvo improbabili miracoli, ne accompagnerà il cammino ancora per un bel po’. Un problema atavico che, a lungo andare, pregiudicherà anche le aree più dinamiche e sviluppate della Penisola.
Ne è ben cosciente il professor Emanuele Felice che con il suo ultimo saggio cerca di dare una risposta all’ormai storico cruccio: “Perché il Sud è rimasto indietro” pubblicato da Il Mulino, affinché in primo luogo si ristabilisca la verità storica e quindi si pongano le basi per ripartire senza aiuti esterni, facendo affidamento sulle sole – e certamente sufficienti a suo avviso – forze meridionali. Un grido di dolore, un j’accuse chiaro, deciso e soprattutto documentato che arriva da un giovane docente universitario meridionale costretto, come tanti altri, ad abbandonare la propria terra per poter aspirare a un futuro migliore lontano dal baronato, nel suo caso accademico. Emanuele Felice è infatti professore di Storia economica presso l’Università Autonoma di Barcellona; «una Napoli che funziona», afferma. L’opera di Felice si delinea come antidoto alle tesi revisioniste e filoborboniche rinvigorite di recente dal giornalista Pino Aprile con il suo best seller Terroni, tutto ciò che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali smentendone i semplicistici e non di rado rancorosi ragionamenti punto su punto, a partire dalla realtà fattuale e dai dati statistici. Uno studio scientifico contro l’elaborazione romanzata del mito auto-consolatorio del Sud sfruttato.
L’autore ne parlerà il 24 gennaio prossimo ad Avella presso il Teatro Biancardi a partire dalle ore 10,00.