La gente della mia terra natia, Cervinara, ha da sempre almeno a quanto ricordo io, un modo brusco, talvolta cinico e irriverente di affrontare taluni ragionamenti, specie quelli che considerano superflui. Per spiegare cosa intendo dire, vi scrivo di seguito la frase che mia madre, nata nella zona della “Pirozza”, sovente mi dedica ancora oggi, in base alle mie attività, visto che mi occupo di calcio come allenatore e giornalista e delle Due Sicilie come angolo del cuore, a suo dire azioni futili: “Sei il migliore nell’occuparti di cose inutili.” Immagino con dolore come avranno affrontato i miei antenati l’invasione banditesca delle orde tosco – padane savojarde, subita nel 1860 e che in un certo senso continua ancora ai giorni nostri con l’emigrazione coatta. Di sicuro avranno deciso la strada da intraprendere solo dopo essersi resi conto di quello che stava accadendo, infatti oltre al cinismo di cui sopra, un’altra peculiarità della mia gente è la lentezza mentale che non vuol dire stoltezza o involuzione, solo semplicemente un modo di vivere che ritengo sia un fatto ancestrale; la reazione alla conquista sarà stata spietata nonostante il risultato finale sia stato la sconfitta. Ma la parvenza rimarrà sempre la stessa, forti e resistenti come il Mastio. Nelle ricerche che amici dediti alle storie del passato di resistenti borbonici, briganti e legittimisti in genere, per ora ho avuto modo di ricevere poche informazioni sui miei diretti antenati, soldati fedeli alle Due Sicilie, morti sul Volturno, come Marco Marro nato a Cervinara, figlio di Giovanni e Gaetana Cioffi. Recluta ammessa nel 6° cacciatori il 19/1/1860. Presente alle azioni militari sul Volturno. Non è presente all’appello del corpo effettuato il 5/11/1860, quindi di sicuro deceduto sull’istmo di Montesecco a Gaeta. Forse, ma non è certo, apparteneva alle distrutte compagnie del famoso Capitano Domenico Bozzelli, quindi scomparso eroicamente al fianco dell’ufficiale abruzzese, l’altro si chiamava Giovanni Pallotta anche egli di Cervinara nato da Gennaro e ANTONIA MARRO soldato del 7° cacciatori. Curiosamente anche in questo caso risulta solo al Volturno. Deceduto nell’azione militare del 1° ottobre. Di briganti, di nome Marro, Bizzarro o Taddeo, Porreca che sono gli antenati dei miei genitori, ho avuto notizie da parte di un mio carissimo compagno di lotta identitaria anche lui di origini cervinaresi ma trapiantato a Livorno, grande frequentatore degli archivi livornesi; Livorno fu crocevia dei deportati napoletani destinati al carcere dell’isola di Santo Stefano, enclave borbonica in terra toscana. I briganti che mi sono stati indicati sono: i Taddeo, Francesco e Taddeo Felice erano capi brigante collaboratori del capobanda Calabrese Domenico, in un processo figura tra i tanti detenuti Maddalena Porreca anche lei affiliata alla banda Calabrese, come già detto in Toscana per la nostra gente ci fu per molti il domicilio coatto scaturito dalla Legge Pica. In tanti sono stati deportati sulle isole toscane. Di Marro, viene menzionato uno di nome Angelantonio Marro, collaboratore dei La Gala, ex falegname, processato al tribunale e rinchiuso nelle carceri di Avellino. Tra i tanti che si ribellarono risulta anche una Marro Luigia. Insomma tutto sommato non posso lamentarmi, qualcuno dei miei si è fatto onore nel resistere all’invasore. Certo talvolta mi riscopro a pensare quello che accadde a questa gente, trovatasi loro malgrado in mezzo a questa situazione che nulla aveva a che vedere con la loro vita di tutti i giorni ma che comunque a modo loro si sono difesi e fatti onore. Certo, resteranno reclusi nella galleria degli anonimi cui la storia ha relegato come pegno da pagare dei vinti mentre al loro posto si sono sostituiti gli invasori vita natural durante, insediati e omaggiati come quei servitori del Savoia che ancora oggi vengono onorati all’entrata del cimitero del nostro paese con la postilla che di fronte alla loro targa commemorativa ci sono le lapidi di quella miriade di emigranti morti in Canada grazie anche alla loro invasione. Certo la Brigantessa per antonomasia di Cervinara rimane Carolina Casale, epica fu la sua presenza nella battaglia di Monte Cavallo del 30 marzo 1868, accanto ai briganti combatté accanitamente con altre due famose resistenti, Maria Capitanio e Gioconda Marini pure lei di Cervinara. Carbonaia e contadina si trovò a fare da vivandiera e druda per amore di Michele Lippiello di Roccamonfina, di cui era incinta. Della Casale si racconta che prese parte alle azioni della banda a fianco al suo uomo negli agguati, nei sequestri, negli scontri con i carabinieri e la guardia nazionale, sempre vestita da uomo, senza mai esitare sul da farsi, scagliandosi nella lotta di Monte Pipirozzi (Roccamonfina) contro la truppa e non rimase estranea all’omicidio di Giuseppe Di Francesco, a Mignano, perché sospettato di tradimento. Nel combattimento il 30 marzo 1868 a Monte Cavallo, fu catturata con gli altri. La Corte di Appello di Napoli la condannerà a quindici anni per associazione a delinquere, estorsione, sequestro di persona e omicidio premeditato. Quando tornò dal carcere riprese il mestiere di carbonaia; il suo uomo morì in uno scontro a fuoco.