Grazie alla lettera di F., 26 anni
“Mi chiamo F., ho 26 anni, sono disoccupata e da un po’ di tempo penso alla morte, alla vita e a come sarebbe tutto più facile se mi decidessi a staccare la spina. Non starò qui a spiegarti nei particolari perché per me questo 2017 è stato per vari motivi un anno difficile ma, anzi, cercherò di essere più vaga possibile, proprio per evitare che i miei genitori (soprattutto papà), attenti lettori di rubriche come la tua, possano riconoscere in queste parole la loro ‘bambina’”.
“Mi sono laureata nel 2015 e, ad oggi, dopo vari tentativi falliti e occasioni mancate, ho l’impressione di non aver costruito niente, di non avere niente: nessun lavoro, nessun contratto stabile, nessuna tutela o prospettiva di crescita, nemmeno una vita degna di essere chiamata tale, niente di niente. Prima che qualcuno possa saltare a conclusioni affrettate volevo dire che no, non è la disoccupazione a farmi pensare al suicidio, ma è il senso di inutilità, il peso del fallimento, la vigliaccheria che mi assale tutte le volte che, di proposito, evito tutti quei posti dove so di incontrare gente che conosco, perché non mi va di spiegare loro come stanno le cose (che cosa faccio, che cosa ho intenzione di fare, perché non vado via, perché vivo ancora nella stessa strada dove sono nata, perché dopo l’Università non ce l’ho fatta)”.
“Il problema è che quando ti propongono uno stage a 300 euro al mese con quelli non ci paghi nemmeno l’abbonamento ai mezzi pubblici. Conosco persone con lauree di tutto rispetto obbligate a scannarsi con altri per ottenere un posto come cassiera al supermercato, professionisti precari costretti a vivere ancora con i genitori, gente pentita di aver accettato – al fine di fare esperienza – rimborsi spese ridicoli per tirocini che autorizzano lo sfruttamento, e gente invece pentita di non averlo fatto (perché se non accetti tu tanto lo farà qualcun’altro). Le risorse umane non possono assicurarci niente, la direzione non ha i fondi necessari, ma comunque ci danno l’opportunità di ‘formarci sul campo’, ‘arricchire il curriculum’ e ‘passare finalmente dalla teoria alla pratica’, poco importa se questo è il primo, il terzo o il quinto stage sottopagato che ti propongono nel giro di un anno”.
“Allora succede così che, senza nemmeno accorgertene, inizi a svalutare il tuo lavoro, a sottovalutare te stesso, a credere sempre meno in te e alle tue potenzialità, fino poi ad accettare lavori che mai avresti pensato di fare, lavori che odi, ma che (se sei fortunato) riusciranno forse a farti arrivare a fine mese da solo, senza l’aiuto di nessuno. A me è successo questo: ho perso la via, ho dimenticato chi sono e cosa voglio fare e come sono arrivata fino a questo punto”.
“Faccio parte di una generazione di sognatori che si è svegliata quando ormai era troppo tardi. Insoddisfatti o disoccupati, sembrano queste le uniche alternative possibili rimaste. Se sei infelice e frustrato ma riesci a pagare le bollette ringrazia il cielo o chiunque credi ci sia lassù perché poteva andarti peggio, potevi essere infelice, frustrato e pure disoccupato”.
“Avevo aspettative alte per questo 2017 ed è successo di tutto, adesso del 2018 ho paura. Quindi mi chiedo: è questa una vita che vale la pena vivere? Ti chiedo di farmi restare anonima. Non voglio addolorare nessuno. Con affetto”.