Una donna 36enne è stata condannata oggi a 12 mesi di carcere con la sospensione condizionale dal Tribunale correzionale di Yverdon-les-Bains, un comune svizzero del Canton Vaud, situato nel distretto d’Yverdon. “Volevo continuare la mia vita” e con questa “giustificazione” ha provocato volontariamente l’interruzione di una gravidanza arrivata a quasi 8 mesi lanciandosi contro un tavolo. Il feto è deceduto. Nella motivazione della sentenza i giudici hanno evidenziato che la donna ha agito con “freddezza ed egoismo” e non ha dimostrato alcun rimorso. Madre di due bambini, di cui uno è stato abbandonato, la donna non ha interrotto la gravidanza entro il termine legale di 12 settimane benché non volesse un altro figlio. Nel gennaio 2016, quando il feto era giunto fra la 30ma e la 35ma settimana di gestazione, si è lanciata volontariamente a più riprese contro lo spigolo di un mobile. Nelle settimane precedenti, la donna si era colpita a più riprese il ventre. Durante la gravidanza, inoltre, la donna ha fumato e bevuto regolarmente, nonché consumato almeno a cinque riprese della cocaina. Meno di un mese dopo il dramma è partita in viaggio, pianificato da tempo, con il compagno e il loro figlio. Secondo il Pubblico Ministero, l’aborto potrebbe essere attribuito al fatto che non voleva annullare il previsto viaggio. Una storia, questa della sentenza di incarcerazione per “feticidio”, che ha suscitato l’indignazione pubblica commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, scatenando shock, rabbia e incredulità. L’episodio, comunque, segna un tragico precedente e manda un messaggio forte alle donne su come vivere la loro gravidanza, rendendo la linea di demarcazione tra feticidio e aborto molto sfuocata.