di Antonio Vecchione
La vita di ciascuno degli abitanti dei Vesuni era chiaramente delineata: fatica, sacrifici, privazioni, dedizione assoluta, queste le aspettative. Erano le uniche condizioni per trovare i mezzi per sopravvivere e far “campare” la famiglia. La loro ricchezza era costituita dal prezioso patrimonio di conoscenza e di esperienze, ereditato dai loro padri, tramandato di generazione in generazione, arricchito anno dopo anno col lavoro quotidiano nei campi. Il valore aggiunto era la ferrea volontà, la forza fisica e la capacità di saper soffrire e rinunciare.
Il quartiere si svegliava molto presto, prima dell’alba. Un frenetico agitarsi caratterizzava queste prime ore della giornata: gli uomini preparavano asini, cavalli e carretti per raggiungere i campi, le donne ed i ragazzi governavano e mungevano le mucche. Possedere una mucca, costituiva una vera ricchezza; lo spazio della stalla si ricavava, spesso, nello stesso ambiente dove si viveva. Il latte era prezioso sia per sfamare la famiglia (si produceva anche un formaggio, molto semplice, e la ricotta) che per essere venduto.
La vendita era effettuata nella stalla, dove, all’alba, gli acquirenti si recavano, ciascuno col proprio recipiente da riempire. Un passaggio diretto di latte al naturale, dal produttore al consumatore, senza bisogno alcuno di pastorizzazione o di trattamenti vari. Le famiglie più ricche (o almeno benestanti) ricevevano a casa il prezioso alimento. Ce lo ricorda Martino Colucci, ‘o martella, che non ancora decenne, si caricava di pesanti “panari”, con numerose bottiglie di latte da distribuire ai numerosi clienti. “Non finiva qui il mio compito”, continua, “perché poi mi dovevo recare in campagna per tagliare l’erba da dare alle vacche, incarico, quest’ultimo, che mi costringeva a trascurare la scuola”. Negli anni successivi, capaci recipienti metallici, più leggeri, muniti di un comodo beccuccio per travasare, aiutarono molto i ragazzi o le ragazze, nella distribuzione del latte.
Era un’attività che produceva un discreto reddito, ripagando i sacrifici necessari per portarla avanti. Ed è la ragione per cui, negli anni ’50, nel quartiere dei Vesuni si contavano un gran numero di stalle con mucche da latte, come ci ricorda Antonio Montella, figlio ‘e Maria ‘a carcarara e Peppe ‘o luongo. Soltanto nei pressi del Catafalco, ci dice, ce ne erano almeno una quindicina: Maria ‘a bionda (‘a lione), Stefanina ‘a mavana, Maria ‘a carcarara, Stefanina ‘a scerchia, Mamena ‘a ruoia, Felicella ‘a scimmiotta, Ninuccia ‘a carbone, Ngiulinella ‘a tuppella, Stefanina ‘e scianchella, ze’ Minuccella ‘e Giacchino, Ngiulinella ‘e martella, Maculata ‘a luparella, Stefanina ‘a zucculara, Rusinella ‘a pagliuchella, Lionilde ‘a capolimone, cumma Emma, Orsolina ‘a maruzzella e Maria d’Avella, madre di Carmine Montella.
Ricordiamo anche alcune del quartiere S. Giacomo: Veneranda ‘a martella, Melielle ra longa, Mariuccia a massara, Mariantonia a summaiola, Nicoletta a sciacquetta, A terzedele.
L’importanza del latte nella vita delle famiglie contadine degli anni cinquanta è testimoniata da questa singolare vicenda il cui protagonista è uno straordinario personaggio che abitava nel quartiere S. Giacomo, Stefano Picciocchi, ‘o perciato. Contadino a tempo pieno fu affascinato dal Partito Comunista e non mancava mai agli incontri nella sede del partito, dove Stefano Vetrano teneva dei sermoni educativi che aprirono la mente agli umili contadini e uomini di fatica trasformandoli in cittadini consapevoli. Stefano Picciocchi prese coscienza delle ingiustizie sociali patite e divenne un attivista comunista a tempo pieno. In ogni occasione teneva a manifestare la sua fede politica e conquistare l’approvazione dei presenti. Un giorno di quei primi anni cinquanta si rese conto che l’iniziale entusiasmo per il PCI stava scemando anche per l’azione dei dirigenti della DC che influenzavano e conquistavano consenso dei cittadini interessati a trovare un posto di lavoro o per un qualsiasi altra raccomandazione. Stefano, nella sua concretezza, si pose subito l’obiettivo di inventarsi qualcosa per riportare i compagni nel partito. E, da persona creativa, ebbe una idea geniale: pensò di mettere a disposizione dei compagni baianesi una mucca da latte presentandola come testimonianza concreta della vicinanza del PCI per i suoi sostenitori. “Palmiro Togliatti ha regalato ai compagni di Baiano una vacca da latte. Chi ha bisogno si presenti di mattina a casa mia con un contenitore e riceverà la sua razione di latte.” Questo il messaggio che fece circolare. L’iniziativa ebbe successo. Regalare il latte ogni mattina costituiva un aiuto concreto per la povera gente, che apprezzò e contribuì a risvegliare la fiducia nel partito. Purtroppo suscitò la reazione di una vicina di casa, che, indispettita per essere esclusa dalla distribuzione, lo denunciò ai carabinieri. Al maresciallo che lo convocò per approfondire, Stefano si difese con la schiettezza di un vero comunista: “Non posso offrire il latte alla signora”, disse. “La signora è democristiana e la vacca ci è stata donata da Togliatti. Chieda a De Gasperi un’altra vacca e potrà anche lei ricevere gratuitamente il latte”. Un ragionamento ineccepibile, che convinse il maresciallo. Purtroppo subito dopo fu costretto a porre fine a questa generosa elargizione. L’impegno di governare la vacca era un peso enorme che gravava soprattutto sulle spalle della moglie. Quando le proteste della signora divennero insostenibili, Stefano decise di porre fine a questa esperienza cercando di non arrecare danno al partito. Ed ecco l’idea. La vacca fu venduta ma Stefano diffuse una notizia diversa. “Togliatti”, fece sapere, “ha spostato la vacca in Puglia dove ci sono altri compagni che hanno bisogno. Noi comunisti abbiamo il dovere della solidarietà”.