Il miele, uno degli alimenti più antichi del mondo, di cui oggi l’Italia è leader, fa parlare di se anche per originali iniziative come quella che potrebbe rivelarsi una ricerca innovativa sulle api, che sono allevate da tribù dei villaggi negli stati himalayani per sostenerne le riserve di zuccheri ed energia durante il lungo e arido periodo invernale himalayano oltre per integrare il loro reddito. Ma d’altra parte, per il miele e per le api, sentinelle dell’ambiente e fondamentali per la vita umana con il lavoro di impollinazione che svolgono in agricoltura, sono abituate a trovarsi in posti quanto meno insoliti. Un team di ricercatori del Dipartimento dell’agricoltura indiana con base ad Almora, ha scoperto che le api italiane, che producono tre volte di più il miele delle api indiane e sono meno aggressive, possono sopravvivere ad alta quota a temperature basse. Si sa che il miele prodotto dalle api italiane è congenito al clima più caldo dell’Italia continentale tanto che sino ad oggi si pensava che non fossero in grado di produrlo con climi più rigidi. Johnson Stanley, uno scienziato associato al Dipartimento indiano per l’agricoltura di Vivekanand Parvatiya Krishi Anusandhan Sansthan (VPKAS), coautore della ricerca nella regione himalayana del nord-ovest, ha spiegato: “Il nostro obiettivo era quello di trovare dei modi per rendere l’apicoltura più orientata al profitto. La nostra ricerca ha cancellato il mito che le api italiane non possono sopravvivere al di là di un’altezza di 1000 metri. Gli esperimenti che abbiamo condotto presso l’Azienda Sperimentale Hawalbagh di Almora, ad un’altitudine di 1250 metri sopra il livello del mare, hanno dimostrato che le api italiane sono in grado di sopravvivere a questa altitudine. In realtà, erano sopravvisute nella fattoria sperimentale negli ultimi otto anni. ” La ricerca è stata effettuata su una colonia costituita da oltre 30.000 api. Mentre le api indiane possono produrre da 2 a 3 kg per colonia, le api italiane possono produrre da 8 a 10 kg di miele per colonia. “Api italiane sono molto più produttive, ma sino ad oggi gli apicoltori indiani delle colline avevano evitato di allevarle a causa della presunta inidoneità ai climi più rigidi. L’unico problema con queste api è che hanno bisogno di cure extra che le api indiani non richiedono “, ha inoltre spiegato Stanley. Il Prof. Dibakar Mahanta, altro scienziato associato alla ricerca, ha aggiunto: “Quando la stagione dei fiori è finita, le api dipendono per il cibo proprio dal miele. Le api italiane sono più grandi in termini di dimensioni e terminano il loro miele più velocemente. La loro dieta deve essere pertanto integrata con cibi alternativi come lo zucchero e nettari di fiori. Allo stesso tempo, poichè sono meno aggressive, devono essere protette dai predatori come le vespe. Queste sono solo alcune precauzioni che devono essere prese per proteggerle, ma il rendimento ottenuto grazie a loro sono molteplici come grandi quantità di miele prodotto che a lungo termine può garantire una fonte economica per integrare il reddito degli agricoltori delle colline “. Dopo gli alveari posizionati sui tetti della London Stock Exchange, sede della borsa inglese, a Londra, o sui quelli del Waldorf-Astoria, uno degli hotel più famosi ed esclusivi di New York, o ancora, in rue du Pont Neuf, nel cuore di Parigi, sui tetti della boutique Louis Vuitton, per citare solo i casi più celebri, anche le “Api Italiane” contribuiranno a sostenere economicamente le tribù nepalesi, da secoli impegnate nella raccolta del miele sull’Himalaya. Sia perchè il miele è altamente richiesto dalla farmacia tradizionale orientale cinese, giapponese e coreana, per trattare infezioni e lesioni da una parte, sia per le sempre maggiori attività di trekking che si stanno sviluppando nella zona, dall’altra. Tendenze e richieste che hanno portato ad una privatizzazione delle rocce in cui risiedono le api e alla spettacolarizzazione delle attività di raccolta. Assistervi per un turista può arrivare a costare tra i 250 e 1.500$. Con tutte le conseguenze che derivano da una forte antropizzazione e attività di turismo di massa in una regione dove la presenza dell’uomo è sempre stata limitata.