Lunedì 15 Giugno. Questo giorno verrà ricordato come il primo in cui l’app Immuni ha segnalato come probabile infetta una persona.
Siamo a Bari, protagonista è una signora di 63 anni che lunedì scorso ha ricevuto, aprendo l’applicazione, un messaggio d’allerta circa il contatto con un individuo positivo al Covid19. Come da protocollo la donna ha subito contattato il proprio medico di base, comunicando il codice assegnatole, ed è in quel momento che è iniziata la sua odissea. Come una sorvegliata speciale, dopo aver ricevuto la segnalazione, l’ASL competente l’ha intimata alla quarantena…14 giorni a casa in attesa del tampone. Tampone che, tuttavia, per giorni ha tardato ad arrivare, costringendo una persona, fino a prova contrari sana, a rimanere a casa a tempo indeterminato.
A nulla sono valse le proteste della donna, la quale ha spiegato come fosse altamente improbabile che fosse stata contagiata, avendo rispettato nei giorni precedenti tutte le regole del distanziamento sociale.
La donna ha dichiarato di stare benissimo, e di voler fare il tampone privatamente, visto che il servizio sanitario pubblico glielo nega.
Dopo essersi rivolta alla Gazzetta del Mezzogiorno, l’eco mediatico ha fatto sì che il test si palesasse ed è risultato che il tampone è negativo. A distanza di una settimana dall’ allerta, rivelatasi errata, dell’app Immuni, la signora è finalmente libera di tornare alla sua vita!
La tardività del tampone, unita ad un’app che sta palesando molte falle nel tracciamento del virus, rischiano di alimentare la sfiducia della popolazione nei confronti dell’approccio nazionale alla pandemia.
Ricordiamo infatti che, a fronte di un traguardo minimo necessario del 60% della popolazione per garantire la sua funzionalità, la percentuale di download attuale dell’app corrisponde all’incirca al 3% della popolazione Italiana.
Cifre davvero impietose, che mettono in luce la quasi inutilità di un tale sistema di tracciamento.
Massimo Antonino Cascone