“L’arresto del medico in servizio presso l’istituto penitenziario di Avellino, trovato in possesso di droga, rappresenta un nuovo caso, inedito e grave, sulla diffusione di stupefacenti nelle carceri. Purtroppo, ai pusher abituali, familiari, mogli-compagne di detenuti, all’arrivo attraverso droni, dobbiamo aggiungere anche un medico”. È quanto sostiene il segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo che aggiunge: “il carcere di Avellino si conferma piazza di spaccio. Come denunciamo da tempo nei penitenziari siamo ad almeno 5 kg la settimana di consumo di stupefacenti con un giro di affari di una decina di milioni d’euro l’anno”. Di Giacomo rilancia l’allarme: “nelle carceri si ripete la situazione dei grandi centri di spaccio delle metropoli del Nord e della città campane dove la camorra e la grande criminalità organizzata gestisce i traffici più consistenti di droga del Paese. Sono gli uomini dei clan, che si servono di telefonini per il più comodo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori, a gestire i traffici. Ovviamente – continua il segretario del S.PP. – questo avviene perché la domanda di stupefacenti è sempre maggiore: la presenza di detenuti classificati tossicodipendenti già all’ingresso in tutta Italia è di circa 18mila (poco meno del 30% del totale) per i quali il cosiddetto “programma a scalare” con la somministrazione di metadone ha dato risultati molto scarsi. Non a caso la recidività di reato per questi detenuti, una volta fuori, è altissima. A questi si deve aggiungere che tre detenuti su 10 sono solo spacciatori e non consumatori”.