Sembra assurdo che negli anni duemila si possa discriminare una persona nell’accesso ad un mestiere che, per sua natura, non richiede particolari requisiti fisici, solo perché si è bassi. Ma purtroppo, è una prassi che accade ancora anche tra le grandi aziende ferroviarie e non solo. È da una vicenda di un’aspirante capotreno che aveva tentato la selezione per essere assunta con quella qualifica, e che era scartata perché troppo bassa in virtù del fatto che il requisito dell’altezza minima fosse identico per uomini e donne che, approdata sino alla Cassazione, ha consentito di ristabilire il principio di non discriminazione. Criterio imprescindibile, che dovrebbe sempre vigere negli ambiti lavorativi e che troppo spesso, però, viene calpestato. Sono stati i giudici della Suprema Corte, infatti, con la sentenza 30083/17, pubblicata il 14 dicembre dalla sezione lavoro costituisce un precedente molto significativo in materia di non discriminazione nell’accesso al posto di lavoro – a sottolineare il principio secondo cui, il requisito della statura minima identica per uomini e donne è suscettibile di disapplicazione in virtù della pronuncia della Corte costituzionale 163 del 1993, che ha stabilito l’illegittimità di tali disposizioni che senza un motivo valido non tengono in considerazione della «identità o diversità delle situazioni soggettive implicate dalla regolamentazione dettata». In tale ottica, quindi, il comportamento dell’azienda ferroviaria che ha indetto la procedura selettiva è da ritenersi discriminatorio e dev’essere rivalutata l’idoneità fisica della candidata. Con la decisione in commento è stato, infatti, accolto il ricorso di una donna che si era visto respingere dalla Corte di appello di Roma e prima dal Tribunale della capitale, la domanda finalizzata alla rivalutazione della propria idoneità fisica nella posizione di Capo servizio treno per la società di trasporti ferroviari che aveva indetto un’apposita procedura selettiva. L’aspirante capotreno era stata giudicata troppo bassa e per tale motivo scartata, ma non aveva gettato la spugna ed aveva impugnato tali giudizi ritenendo che i criteri della procedura selettiva erano discriminatori perché il requisito dell’altezza era lo stesso sia per le donne che per gli uomini che ambivano al posto. Criteri che al contrario, non erano stati ritenuti discriminatori dalla Corte di Appello. I giudici di piazza Cavour, ribaltano completamente tale decisione affermando che, nella fattispecie, sussiste la discriminazione denunciata dall’aspirante candidata, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale «anche sotto il profilo della ragionevolezza del previsto limite staturale quale requisito di idoneità all’esercizio delle mansioni di capo servizio treno». Ciò implica, «ai sensi dell’articolo 40 del decreto legislativo 198/06, l’inversione dell’onere della prova sul punto, erroneamente ritenuto assolto per difetto di contestazione da parte dell’odierna ricorrente dalla società, che, invece, nulla ha opposto ai rilievi offerti dalla donna incentrati, in particolare, sul più ridotto requisito di altezza dei macchinisti, in relazione alle cui funzioni, che il capo servizio treno è tra l’altro chiamato a supportare, è sostenuta la necessità del possesso da parte di quest’ultima figura professionale del previsto requisito staturale». In merito all’affermata discriminazione, gli ermellini rilevano che questa «non trova limiti quanto al sindacato giudiziale negli atti amministrativi che quel requisito prevedono, essendo gli stessi suscettibili di disapplicazione a fronte dell’illegittimità, desumibile dalla richiamata pronunzia della Corte costituzionale 163/93, di disposizioni che ingiustificatamente non tengano conto della identità o diversità delle situazioni soggettive implicate dalla regolamentazione dettata».