E’ proprio il caso di dire che l’Italia è un Paese a due velocità. Si perché mentre al Nord i tratti autostradali, anche di montagna, salvo rarissime limitazioni si possono percorrere a 130 all’ora o addirittura a 150 su quelli a tre corsie ove possibile come stabilito dall’articolo 142 del Codice della Strada, basta camminare lungo la A16 – anche nota come autostrada dei Due Mari per il fatto che collega il Tirreno all’Adriatico – nel tratto lunghissimo tra Baiano e Candela pari a ben 107 chilometri, per scoprire, che la velocità massima consentita è di 80 km/h su tutta la direttrice e nei due sensi di marcia, meno di una qualsiasi strada provinciale dove normalmente il limite è di 90 km/h orari. Ma la questione non finisce qui: l’autostrada a due sole corsie per senso di marcia, è gestita dalla nota società privata “Autostrade per l’Italia” ed è a normale pedaggio come stabilito dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, una sorta di truffa di Stato perpetrata a danno di milioni di pendolari, autotrasportatori e chiunque, dalle Puglie volesse raggiungere Napoli, la Capitale e l’occidente d’Italia in generale e viceversa. D’altronde, le quattroruote sono il mezzo più utilizzato dalle categorie suelencate, giacché la cronaca scarsezza di treni, e l’assenza totale di quelli veloci, spinge coloro che si spostano nelle direttrici suindicate ad utilizzare l’automobile e a beccarsi tutti i rischi connessi compreso quello ancor più truffaldino di autovelox e tutor che dalla scorsa primavera abbondano sul tratto “incriminato” quasi a voler costituire una trappola istituzionalizzata per tutti coloro che lo attraversano credendo di poter viaggiare ad una velocità consona alla denominazione che è stata data all’A16, ossia quella di autostrada ai sensi del richiamato Codice della Strada. Pagare come se si percorresse una “normale” autostrada è una beffa, infatti, ma lo è ancor di più se ogni volta per transitarla ci si mette quasi tre quarti d’ora in più del previsto, con il rischio comunque di spingere un po’ di più il piede sull’acceleratore nella convinzione che ci si trova su un’autostrada e che i cartelli col limite di 80 km/h messi qua e là non indicano un limite generale, ma solo quello di brevi tratti, mentre ci si culla poi sul fatto che il limite “dovrebbe” tornare su quello normale e si viene categoricamente smentiti quando a distanza di un mesetto a casa o in azienda arriva la busta verde con una “bella” multa variabile ai sensi dei diversi commi dell’articolo 142 del C.d.S., tra i minimi edittali di 41 euro se va bene e si superano gli 80 entro un massimo di 10 Km/h e gli 828 euro se si supera lo stesso limite di oltre 60 km/h (praticamente come se si andasse poco oltre i canonici 130 km/h previsti per le autostrade).E va bene, quindi, tutelare la sicurezza stradale e l’incolumità di chiunque attraversa l’Appennino, ma non si chiamasse autostrada ciò che non lo è più nel momento in cui si è deciso di abbassare per oltre un centinaio di chilometri il limite, non si pretendesse più il pedaggio e non si vessassero più i cittadini “ingannati” con migliaia di sanzioni al C.d.S. se non si è in grado di metterla in sicurezza e garantire il transito ad una velocità consona alla denominazione attuale.Un vero e proprio scandalo tutto italiano, ribadisce Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, associazione che non solo si è impegnata a coadiuvare i cittadini nella redazione dei ricorsi alla miriade di verbali piovuti dopo l’abbassamento del limite, ma che sta valutando l’ipotesi di una “class action” per il rimborso del pedaggio pagato da chi è transitato negli ultimi mesi e percorrerà in futuro il lungo tratto di A16 interessato se il Ministero delle Infrastrutture non vorrà intervenire prima per risolvere la vicenda.