La presentazione in una “Nota di Melania Panìco” tratto dal blog dedicato alla poesia di Rai News curato da Luigia Sorrentino
Nel leggere “La natura del bastardo”, il nuovo libro di Davide Rondoni edito da Mondadori, si presentano agli occhi del lettore alcune parole – chiave. Una di queste è contenuta nel titolo.
Bastardo fa chiaramente riferimento al concetto di imbastardimento con tutto ciò che è nella realtà, al mescolamento. E infatti questo è un libro sul viaggio nella quotidianità e allo stesso tempo sulla comprensione e sulla ricerca: “l’infinito è una sbarra che ci traversa/ la natura mai pura imperversa”. In questi versi ci sono tutti gli elementi necessari per comprendere l’idea di “mescolanza”. La natura del bastardo è questo: si collega al concetto di purezza e lo trasforma, ci scava dentro il solco profondo del limite, nella costante ricerca di qualcosa. Ma cosa? Verità, meraviglia, basta guardare bene. Si passa quindi all’altra parola chiave: luce. La luce attraversa tutto il libro: “Quante oscurità occorre traversare per divenire luminosi”. Sono le oscurità della quotidianità attraverso cui guardare le cose con occhi adatti. Una luce che tocca soprattutto le cose minime. Un particolare significato di luce in greco è espresso dal termine φῶς da φαίνω che significa mostrare e indica la luce emanata dalla conoscenza, qualcosa che ci permette di vedere la profondità del reale, di entrarne a far parte. In effetti il tema della luce domina tutta la filosofia dalle origini ed è un retroterra importante, evidente. Ne “L’epica del sentimento”, libro di saggi su Virgilio del latinista Gian Biagio Conte, l’autore dimostra come la “sentimentalità” sia la radice che alimenta tutte le tensioni del testo virgiliano, questo attraverso forme espressive che cercano lo slancio dello stile sublime seguendo paradossalmente le tracce delle parole comuni. In pratica Virgilio era già un moderno. Ma cos’è questa modernità? In cosa si manifesta? Nella imperfezione moderna. E cos’è questa imperfezione moderna se non una scissione, un rendersi conto che la poesia non è solo dono di natura ma impegno laborioso, meditazione sul mondo e sulle cose. Il poeta moderno è stato privato della sua ingenuità dalla tragedia e con tragedia non intendo solo il genere letterario ma appunto il tratto più forte della modernità e cioè lo spirito della crisi, il dubbio, la domanda. La poesia “sentimentale” – e mi rifaccio quindi al titolo di Conte – deve essere poesia della contraddizione nel senso di contrasto tra il mondo delle idee e il mondo reale e la contraddizione non può non manifestarsi nel linguaggio che è sempre testimone di tutto. Visto che tutte le cose del libro, i discorsi, gli oggetti, gli avvenimenti sono riferiti a un’idea, è proprio in questa idea che c’è la forza poetica perché le cose “significano” e la lingua deve essere una lingua piana, semplice, diretta, perché è già piena di significanza, di idea. Abbiamo detto libro di ricerca, dove sempre la linea guida è l’amore, la linea di tutte le cose, il più grande tema della letteratura che non si esaurisce mai, perché d’amore si può sempre dire: “Amore è l’occupazione di chi non ha paura”. La terza parola chiave. Il libro è diviso in undici sezioni e in particolare c’è una sezione che si intitola “Possiamo soltanto amare, il resto non conta non funziona” che concettualmente racchiude il senso del libro, della ricerca e allo stesso tempo il senso della ricerca. “Possiamo soltanto amare/ fino all’ultimo nascosto spasmo/ che nessuno vede/ e diviene quella specie di sorriso”: è quindi come trovare o riconoscere un non so che di leggerezza che non è superficialità o noncuranza ma è vedere qualcosa nella crisi, nell’afflizione, una luce, un cammino. Vedere qualcosa con gli occhi di chi è stato attraversato da questa luce