Spiace che don Aniello Manganiello, sacerdote di cui apprezziamo l’attività pastorale e sociale, sull’ipotesi di realizzare un tempio di cremazione ad Avella, abbia rilasciato alla testata giornalistica BiNews commenti che rasentano il pregiudizio, lo stereotipo, taluni ai limiti della diffamazione. Ogni volta che si spara nel mucchio, che si fa di tutte le erbe un fascio, che si ragiona per categorie (“i politici”, “gli imprenditori”) si compie un pessimo servizio alla verità, alimentando il qualunquismo e i luoghi comuni.
Asserire, con incauta leggerezza, che “i forni sono altamente inquinanti” non è un’opinione, che, per quanto lontana dalla realtà, meriterebbe comunque rispetto; è semplicemente un falso, una fake news smentita da anni di studi scientifici, condotti sia in Italia e che all’estero. Se don Manganiello avesse ragione, in Svizzera, Paese dove il rigore, la civiltà e la sostenibilità ambientale sono valori assoluti e inderogabili, non si costruirebbero case funerarie e impianti nei centri abitati e non si registrerebbero tassi di cremazione superiori all’85% (fonte: Ufafp). Però, noi non stiamo in Svizzera, potrebbe obbiettare. Ebbene, in Italia vige una normativa tra le più rigide d’Europa, che obbliga i costruttori a dotare gli impianti di sofisticati sistemi di abbattimento, affinché le emissioni restino molto al di sotto dei livelli stabiliti dalla legge; non solo: sulle casse fornite per la cremazione c’è il vincolo della verniciatura ad acqua, così non rilasciano inquinanti.
E ancora. Don Manganiello afferma che in Campania staremmo assistendo “al moltiplicarsi di aperture di forni crematori”. Neanche questo è vero: nonostante un funerale su tre oggi si concluda con la cremazione dei feretri (fonte: Sefit), la distribuzione geografica degli impianti non è uniforme: esiste un forte divario tra il Nord e il Sud, con un grosso gap per il Sud da recuperare. In Piemonte, a fronte di 4,3 milioni di abitanti, ci sono 14 crematori; in Campania, con quasi 6 milioni di abitanti, solo 5. Un ritardo infrastrutturale che, nei fatti, nega a milioni di cittadine e di cittadini il diritto di compiere una scelta etica in piena libertà e autonomia.
Ma fin qui siamo alle esternazioni di chi, ancorché in buona fede, parla senza cognizione di causa. Ciò che proprio non possiamo accettare è l’accostamento che don Manganiello fa tra il caso di Avella, che vede Italgeco proponente della realizzazione del tempio di cremazione, e la criminalità organizzata. Siamo un’azienda citata nella letteratura antimafia come esempio di impresa sana che si è sempre opposta al racket delle estorsioni e che ha maturato, in oltre vent’anni di attività, anticorpi contro ogni forma di infiltrazione camorristica (cfr. Leandro Limoccia, “Criminalità e casi studio”, pp. 445 e 446, Edizioni Scientifiche Italiane). Sull’antimafia possiamo fare scuola! Intendiamoci: la camorra esiste; però, va combattuta altrove e non con i “no” che deprimono lo sviluppo e l’occupazione, altrimenti le si fa un favore. Leggiamo spesso di inchieste su appalti pilotati nella Sanità; quale sarebbe la soluzione? Non costruire più gli ospedali? Se don Manganiello ha prove circostanziate o informazioni di reato, da buon cittadino quale è, dovrebbe recarsi in Procura e offrirle agli inquirenti; fare i nomi, non pontificare sul nulla.
Ai rappresentanti di “Comunione e liberazione”, ricevuti in udienza l’altro giorno, Papa Francesco ha detto: “Non sprecate il vostro tempo prezioso in chiacchiere, diffidenze e contrapposizioni”. È un invito che facciamo nostro ed è ciò che ci permettiamo di suggerire a don Manganiello.