Dal jazz rock ai toni etnici, oggi di scena per il ventennale di Avellino Jazz, alle ore 21, presso il Carcere Borbonico, gli “Slivovitz”. Nascono nel settembre 2001 e da allora non hanno mai smesso di muoversi, crescere, cambiare forma e direzione, sempre nel solco della musica strumentale intorno al jazz rock dai toni etnici. Nevrotici, irrequieti e naturalmente tesi al movimento, in questi anni, a partire da Napoli hanno suonato in tutta Italia, toccando l’Ungheria, la Spagna, la Serbia e l’Austria. Con la formazione originale (Domenico Angarano al basso, Stefano Costanzo alla batteria, Derek Di Perri all’armonica, Marcello Giannini alle chitarre, Pietro Santangelo ai sassofoni, Riccardo Villari al violino) hanno registrato il primo omonimo disco tra il 2004 ed il 2005, editi da Ethnoworld (Milano), arricchiti dalla presenza della voce di Ludovica Manzo. Hanno registrato il secondo disco al caldo dell’estate napoletana 2007 presso gli studi Megaride. Nei nuovi brani spicca l’utilizzo “strumentale” della voce e l’intrecciarsi dei diversi strumenti a disposizione, mai relegando nessun elemento del gruppo al ruolo di mero accompagnatore. Il forte impatto live denota un chiaro ascendente rock sulla sezione ritmica, mitigato dalle innate capacità improvvisative dei solisti; il tutto fuso in strutture complesse che rimandano al jazz-rock più puro dei primi anni settanta ma con risonanze etniche dal mediterraneo all’area balcanica. Il disco, dal titolo “Hubris”, impreziosito da ospiti come Giovanni Imparato (voce e percussioni in “CaldoBagno”), Marco Pezzenati (vibrafono in “Mangiare”) e Ugo Santangelo (chitarra acustica in “Co2”), è stato missato a Londra, presso gli studi della SAE da Luca Barassi e masterizzato a Roma da Fabrizio de Carolis presso lo studio “Reference”. “Hubris” da settembre 2009 è distribuito in tutto il mondo dalla MoonJune Records di Leonardo Pavkovic. Continua anche domani il laboratorio, dalle ore 15 alle ore 19, presso la Sala Ripa del Carcere Borbonico, curato da Hobby Horse e Dan Kinzelman al sassofono, clarinetti, flauti, tastiere, percussioni e voce, Joe Rehmer al contrabbasso, tastiere e voce e Stefano Tamborrino alla batteria, percussioni e voce.
GLI ALTRI APPUNTAMENTI
Il 14 settembre, alle ore 21, presso il lounge “Martella”, Hobby Horse in concerto, con Dan Kinzelman al sassofono, clarinetti, flauti, tastiere, percussioni e voce, Joe Rehmer al contrabbasso, tastiere e voce, Stefano Tamborrino alla batteria, percussioni e voce. Incrocio coinvolgente tra improvvisazioni ipnotiche ed esplosiva dinamicità, la musica degli Hobby Horse varca i confini di genere con influenze free jazz, ambient, rock e sprazzi di musica elettronica. Il repertorio proposto consiste principalmente in pezzi originali composti appositamente per la formazione, con l’aggiunta di qualche brano di autori come Tom Waits, Robert Wyatt e Thelonius Monk. L’interplay del gruppo è di livello altissimo e gli anni di esperienza condivisa hanno reso possibile un dialogo fresco, coinvolgente e sorprendente tra i musicisti. Gli Hobby Horse nascono nel 2008 con un repertorio ben radicato nella tradizione, ma il gruppo si è subito mosso verso orizzonti nuovi. Durante gli ultimi anni hanno esplorato i propri limiti timbrici utilizzando strumenti inusuali (flauti di latta e a coulisse, glockenspiel, melodica, sintetizzatori ed altri) e sperimentando l’uso della voce, fino ad ottenere una ricchezza sonora quasi orchestrale e un impatto sorprendente per una formazione così piccola.
Il 15 settembre, alle ore 21, presso il ristorante “Blob”, El Hadji Mbaye e i tamburi di Gorèe. I Tamburi di Gorée sono un gruppo musicale che nasce nell’isola di Gorée, in Senegal, dall’iniziativa di alcuni membri del gruppo Africa Djembe, con l’intento di fare rivivere le radici musicali tradizionali del loro Paese e dell’Africa occidentale, in particolare della tradizione musicale mandinga e wolof. Nel 1988 successivamente alla registrazione del Cd omonimo, il gruppo si trasferisce a Roma dove risiede attualmente. I loro spettacoli sono eseguiti con strumenti a percussione e a corda, e con l’impiego di variopinti costumi propone i cori, i ritmi e le danze africane tradizionali. I ritmi del repertorio hanno radici nella storia dell’isola da cui provengono, l’isola degli schiavi, la “porta” della tratta verso l’America, situata di fronte Dakar e patrimonio dell’Unesco. Molti dei ritmi che propongono sono proprio quelli che furono trasportati con le navi attraverso l’atlantico per sbarcare in America e porre le radici del jazz e della musica nera americana. Alcuni di loro vantano collaborazioni con alcuni tra i più importanti artisti del panorama musicale africano come Youssou N’Dour e Miriam Makeba. Avellino Jazz si presenta per la prima volta nel settembre 1993, all’ex Carcere Borbonico, con Enrico Rava, artista che non ha bisogno di presentazioni, che tiene a battesimo il festival. Il trombettista, per tre volte presente in cartellone,ha così consolidato nel tempo un rapporto d’amicizia con Avellino Jazz. Nel 1993, musicista jazz dell’anno, presentò ad Avellino l’European Jazz Quartet, con Palle Danielsson al contrabbasso, Jon Christiansen alla batteria ed un giovanissimo Roberto Cecchetto alla chitarra. Negli anni il Festival ha avuto ospiti artisti internazionali tra i quali Steve Coleman, Hamid Drake, William Parker, John Tchicai, i migliori musicisti italiani come Giulio Capiozzo, James Senese, Paolino Dalla Porta, Pasquale Innarella, Antonello Salis, Roberto Cecchetto, Michele Rabbia, Fabrizio Sferra, Gianluca Petrella, e i migliori tra i giovani musicisti italiani, Mauro Ottolini (musicista jazz dell’anno 2012), Giovanni Guidi, Tony Cattano, Domenico Caliri.