Domani, 13 maggio alle ore 17, presso il *Circolo della stampa di Avellino*, presentazione del libro I campi di Tullio. La storia di un internato militare italiano (Edizioni Era Nuova e Circolo culturale Primomaggio) di Luigino Ciotti e Dino Renato Nardelli.
Ne discutono con Luigino Ciotti (autore e figlio di Tullio), Giovanni Capobianco, presidente provinciale ANPI Avellino, Franco Fiordellisi, segretario generale CGIL Avellino, e Mimmo Limongiello, presidente AUSER Avellino. Coordina la giornalista Floriana Mastandrea
Il libro di Luigino Ciotti e Dino Renato Nardelli, I campi di Tullio. Storia di un internato militare Iialiano, racconta la storia di Tullio Ciotti. Umbro di Bettona, appena diciottenne, a tre mesi dalla chiamata alle armi, Tullio viene catturato a Roma dai tedeschi la sera dell’8 settembre 1943 e trasferito al centro di raccolta per prigionieri di Ostia, dove inizia il suo lungo calvario di internato.
Rinchiuso con altri 35 militari in un carro bestiame, dopo un viaggio di cinque giorni e sei notti, lacero e affamato, viene internato prima nel campo di Kurtwitz (Kondratowice) nella Polonia occupata, dove rischia la vita per una grave malattia. In seguito è trasferito nel lager di Sagan, e infine in quello di Gorlitz in cui è costretto a lavorare in una fabbrica di mezzi militari, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra del 1929 che vietava l’impiego di prigionieri di guerra nella produzione di materiali bellici.
ll 7 maggio 1945 Tullio viene liberato dalle truppe sovietiche, e senza attendere i tempi del rimpatrio ufficiale, insieme ad altri venticinque ex internati decide di tornare al più presto a casa. Al termine di un lungo ed avventuroso viaggio attraverso mezza Europa, riabbraccia i suoi dopo due anni di stenti che l’hanno ridotto a pesare 35 chili.
La storia che il libro racconta è anche quella di circa settecentomila militari italiani che catturati sui vari fronti dopo l’8 settembre furono internati nei campi dai tedeschi e subirono la stessa sorte di Tullio Ciotti. Pur potendo tornare in Italia aderendo alla Repubblica di Salò, essi nella stragrande maggioranza scelsero coraggiosamente la disobbedienza civile e la resistenza nonviolenta, e sopportarono per anni un internamento durissimo. Veri e propri schiavi del Reich furono costretti a lavori pesanti per gran parte della giornata, sottoalimentati e decimati dalle malattie. Cinquantamila di loro – giova ricordarlo – non fecero ritorno.
I militari italiani fatti prigionieri furono, per ordine di Hitler, considerati internati e non prigionieri di guerra, quindi privati delle tutele della Convenzione di Ginevra, proprio per essere sfruttati nelle industrie belliche e in altri settori dell’industria germanica in difficoltà per mancanza di lavoratori chiamati alle armi.
La storia degli IMI (Internati Militari Italiani) è purtroppo ancora poco nota, il loro sacrificio merita di essere conosciuto diffusamente anche dalle nuove generazioni.