Si è aperto con il convegno di ieri pomeriggio un ciclo di tre incontri su “Economia civile” e “Impresa sociale”, materie all’apparenza ostiche o, quantomeno, lontane dall’interesse dei più. Sono i termini “civile” e “sociale”, in realtà, a fare la differenza, perché è sulle persone, sul senso di comunità, di condivisione che indirizzano lo scopo del proprio impiego.
È un ciclo di incontri che rientra nel corso di formazione che il CSV “Irpinia Solidale” di Avellino ha voluto attivare per sensibilizzare sull’importanza del bene comune in quanto ricchezza e della ricchezza intesa come bene comune, nella convinzione che sia questo il presupposto fondamentale per quella ristrutturazione necessaria del tessuto economico e sociale del nostro Paese. La volontà è quella di lavorare e di agire per radicare diffusamente nelle coscienze il principio della reciprocità, perché ci sia una redistribuzione della ricchezza, perché questa redistribuzione sia equa, perché non si guardi più all’economia come a una struttura finalizzata esclusivamente alla produzione di profitto, e perché si inneschi un meccanismo per cui l’accesso al bene sia garantito alle persone a prescindere dai parametri che oggi decidono la diversità, per i quali si strumentalizzano le differenze, generando diversità, appunto, e disparità.
“È civile o non è economia”, è lo slogan di una prospettiva relazionale che, a scapito di una prospettiva individualista, sposa l’altruismo vero e sano piuttosto che quello di comodo. Ce ne parla il Prof. Stefano Zamagni, al tavolo dei relatori insieme al Presidente del CSV di Avellino Giuseppe D’Argenio. Massimo cultore della materia, apprezzato nel mondo per i suoi studi di Economia Civile, Zamagni è cofondatore della SEC, Scuola di Economia Civile; è stato Presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore e dal marzo di quest’anno è Presidente della Pontificia Accademia di scienze sociali, di cui faceva già parte dal 2013 come membro ordinario.
«Smettete di piangervi addosso, il tempo non fa male a nessuno», Zamagni apre il suo intervento citando Sant’Agostino, esemplificando perfettamente la tendenza, a suo dire, diffusa che gli Italiani e in genere i popoli di tutti i tempi hanno, che è quella di lamentare problemi e difficoltà senza, però, attivarsi per provare ad invertire la rotta, aspettando, più o meno passivamente, che un cambiamento arrivi a coinvolgerli.
Il Professore ha tracciato un quadro dettagliato dell’ordine sociale dominante fino a tempi recentissimi; un ordine che ha voluto Stato e mercato al centro delle dinamiche del Paese; un ordine bipolare, appunto, in cui all’uno spettava la redistribuzione di beni e servizi prodotti dall’altro; un ordine in cui, per il principio della sussidiarietà orizzontale, l’ente pubblico affidava a terzi il compito di svolgere delle specifiche mansioni, sulla base di un principio concessivo restrittivo e dittatoriale.
«Per fare del bene non bisogna chiedere il permesso a nessuno» afferma Zamagni, facendo proprio l’insegnamento di un suo maestro e cita la legge di riforma del 2017, che ha aperto la strada a un nuovo ordine nel panorama sociale del nostro Paese, introducendo, con il principio di riconoscimento, quella sussidiarietà circolare per cui decisioni, risorse e gestione divengono competenza dei tre soggetti, in modo assolutamente paritario e democratico.
In un tempo di straordinaria transizione, qual è per Zamagni quello che stiamo vivendo, impariamo dalla sua lezione che è su un modello tripolare che deve basarsi il nuovo ordine, in cui dei tre soggetti di Stato, mercato e comunità, sia quest’ultima il pilastro fondamentale di una struttura robusta e suoi moventi ideali siano i principi di reciprocità e di dono contro quelli sterili di scambio e donazione. «Il dono, continua Zamagni, è una relazione interpersonale che porta con sé contatto, ascolto, presenza; è un dare senza perdere e un prendere senza togliere» e accenna alla storia di San Francesco, al dono di sé che fece all’uomo malato di lebbra. Ma di riferimenti teologici è stato fitto il discorso del Professore, a testimonianza di una devozione e di una fede cattolica profonda che, di certo, sono state a fondamento della sua fortissima vocazione per il sociale.
Concludendo, Zamagni auspica e intravede quello che definisce “un secondo Risorgimento per il Terzo Settore”, attuabile sicuramente a patto che «tutti i soggetti coinvolti riacquistino fiducia e rialzino la testa». Ed è con una massima indiana di grande potenza esemplificativa che chiude la sua relazione, rafforzando in tal modo la profonda verità del proprio convincimento: «Quando il sole tramonta, non piangere, perché le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle».