Il Trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio. La lezione civile e l’eredità etica di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
di Gianni Amodeo
23 maggio, 19 luglio, 1992. Sono le date che evocano le stragi di Capaci e di via D’Amelio, in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, figure esemplari di magistrati, impegnati con innovative modalità d’indagine e strutturate inchieste giudiziarie nel reale ed efficace contrasto alla rete dei poteri criminali ed economico–finanziari di Cosa nostra sempre più invasiva e radicata nei territori, al Sud e al Nord, con ancoraggi nel più generale contesto dell’internazionalizzazione dei mercati. Un assetto profondamente cambiato e potenziato nelle modalità investigative con il largo supporto specialistico delle tecnologie digitali ed informatiche, e in virtù dell’istituzione della Procura nazionale anti mafia – quello di cui si valsero Falcone e Borsellino con affidabile e collaudata deontologia professionale, tenace coerenza e fermo coraggio, dovendo persino subire e superare ostacoli provenienti da ambienti istituzionali, potentati politici e … invidie di vario assortimento -, per concorrere incisivamente all’esercizio compiuto dell’attività giurisdizionale, rivitalizzandone la funzione nel depotenziare e arginare Cosa nostra. Era il percorso, con cui lo Stato si ri–appropriava e si re–integrava nel proprio ruolo, ritrovando e riaffermando i valori e lo spirito dell’ordinamento repubblicano e democratico.
Le efferate stragi di Capaci e via D’Amelio, a Palermo, furono, in realtà, le risposte di programmata e lucida violenza, con cui Cosa nostra reagì alla svolta impressa nell’azione giudiziaria dello Stato, per contenerne e debellarne la presenza. Il Maxi–processo ai “vertici” e uomini di mafia costituiva la testimonianza eloquente della strada intrapresa dallo Stato. Un affronto mai prima subito da Cosa nostra, intollerabile, da contrastare con immediata e perentoria veemenza, colpendo con durezza coloro che ne erano assertori nell’adempiere i propri doveri. E con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, morirono gli agenti delle rispettive scorte di protezione personale; vittime sacrificali, tutte accomunate, a giusta ragione e per civica solidarietà, nella memoria popolare che ne onora le storie personali di attivi e responsabili servitori dello Stato, che, concepito e reso operante nelle sue articolazioni, è presidio e garante della civile convivenza nella libertà e nell’uguaglianza; presidio che si consolida e sviluppa, se rende davvero concreta l’attuazione dei principi costituzionali nella simmetrica corrispondenza tra la tutela dei diritti e l’osservanza dei doveri, sia soggettivi e privati che pubblici e sociali. E’ la simmetrica corrispondenza che chiama direttamente in causa, senza alcuna distinzione e remora, cittadini e cittadine.
Il 1992 è stato considerato anno cruciale nella vicenda sociale e politica del Bel Paese o, se si vuole, spartiacque tra la fase che si fa coincidere con i quattro decenni del Dopoguerra – il periodo della cosiddetta Prima repubblica– e la convulsa e successiva fase tuttora in itinere, largamente ingarbugliata di suo, nelle profonde trasformazioni e incertezze già sperimentate nel primo ventennio del XXI secolo. Anno spartiacque, il 1992, fissato e aperto dalle inchieste di Mani pulite sulla corruzione pubblica eretta a sistema, con una classe politica nazionale, regionale e locale sempre più sazia di sé –specie e soprattutto quella che aveva esercitato a lungo e in tutte le forme possibili il potere, diventata, intanto, “conservatrice” di se stessa, beneficiaria com’era stata per sé e famigliari delle posizioni di rendita garantite dalle galassie clientelari di appartenenza partitica, con i correlati favoritismi – in larga misura allo sbando e inetta, alla pari della classe dirigente intesa in senso lato e dei ceti imprenditoriali. Fu l’anno che prometteva inusitate per quanto magnifiche e migliori sorti sociali. Ma nei fatti il livello delle promesse annunciate è restato un flatus vocis, con classi politiche che, a loro volta e per quanto rinnovate in tutti livelli per il naturale ricambio generazionale, denotano una carenza di idee, ideali e slanci davvero sconcertante, alla pari della classe dirigente e dei ceti imprenditoriali. E dal canto suo, neanche rassicura più di tanto la società civile, che, pure invocata ad ogni piè sospinto, considerata l’indiscussa- e indiscutibile- depositaria di inconcusse e sicure virtù salvifiche del bene generale, non si smuove dallo starsene in finestra né rinuncia alle nicchie dei particolarismi interessati, consumando affari di piccolo e grande cabotaggio, se e quando può a seconda delle occasioni. Ieri come oggi.
La Giornata nazionale della legalità, coincide con il Trentennale della strage di Capaci, che fa tutt’uno con quella di via D’Amelio per il retaggio di moralità pubblica che costituisce e rappresenta. Una coincidenza che cade in un contesto socio-temporale particolare, quando la pandemia del Covid-19 sembra allentare la sua presa di sofferenze, paure e criticità, grazie alla capillarità delle campagne vaccinali, che ne favoriscono l’evoluzione in forma epidemica, curabile con farmaci anti-infiammatori e monoclonali, mentre sullo sfondo campeggiano gli orrori della guerra in Ucraina dagli esiti ancora sconosciuti negli sviluppi che potrebbe assumere, ma che già fa avvertire i suoi onerosi e gravi effetti, per morti, distruttività e devastazioni infinite. E senza tralasciare, nello scenario italiano, il voto referendario di giugno proprio sulle problematiche che investono il pianeta–Giustizia, anchilosato nella funzionalità, per allinearlo al modello europeo.
Indetta e organizzata dal Circolo L’Incontro, la Giornata della legalità è in agenda, lunedì 23 maggio alle ore 18,00, nell’Auditorium del plesso di Scuola media Giuseppe Parini dell’Istituto comprensivo Giovanni XXIII, in via Luigi Napolitano, con Focus che saranno sviluppati dal giovane giurista e avvocato Giuseppe Macario, del Foro di Avellino, e dal professore Raffaele Sibilio, docente ordinario della Facoltà di Sociologia della Federico II. Sotto analisi, temi stimolanti di riflessione e interesse conoscitivo, con prologo incentrato su Giustizia, legalità e libertà. Da endiadi a paralleli, da principi giuridici a valori morali, e conclusioni calibrate sulla lezione di cultura civica e sull’eredità etica e sociale di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
I Focus tematici saranno scanditi dalla lettura di brani scelti tratti da Solo è il coraggio, il romanzo di Roberto Saviano, da qualche settimana in libreria, e da Per questo mi chiamo Giovanni, con intervista a Maria Falcone, di Luigi Garlando, il libro più letto su Mafia e Mafie, pubblicato 18 anni fa e di nuovo in libreria. La lettura sarà proposta da Maria Laura Conte.
Introdurrà, Carlo Melissa. Coordinerà chi ha scritto queste righe.