“Arpad ed Egri”, la storia del calcio e la tragedia delle leggi razziali: L’affascinante e lucido racconto di Angelo Amato de Serpis
di Gianni Amodeo
Un revival, che si sviluppa nell’arco di poco più di un decennio, facendo incrociare la storia del calcio e la storia politica, cui fanno da sfondo sia la tragedia del secondo conflitto mondiale sia i primi vagiti della pace ritrovata nell’Europa stremata e ridotta in macerie, nell’Africa lacerata, come non se non le fossero “bastati” i soprusi e gli sfruttamenti subìti nel corso dei secoli per opera della “civilizzatrice” Europa, e nell’ Asia che in terra giapponese conobbe e patì l’atroce potenza di morte e l’ immane distruttività delle due bombe atomiche, che nell’agosto del ’45 annientarono le città di Hiroshima e Nagasaki; erano i vagiti, che facevano fiorire le speranze di un mondo migliore. Due percorsi distinti ed incrociati, quelli della storia del calcio e della storia politica, il cui abbrivo coincide con l’emanazione delle leggi razziali anti-ebraiche, approvate l’11 novembre dal Consiglio dei ministri del regime monarco-fascista, per esaurirsi il 4 maggio del 1949, il triste giorno della scomparsa del Grande Torino. Il quadrimotore dell’ Ali , sul quale viaggiava “la più bella squadra del mondo”, si schiantò contro il muraglione posteriore della Basilica mariana che svetta sull’altura di Superga, la collina della città della Fiat, in cui stava rientrando , dopo la partita in amichevole con il Benfica, in Portogallo. Lo schianto cancellò all’istante la realtà tecnica e spettacolare dei “Granata”, per consegnarla alla memoria e alla gloria imperitura dello Sport che non conosce frontiere, ancorato com’è ai cosmopoliti ideali dell’universalità.
E dal 2015, la Fifa, l’organismo internazionale che rappresenta tutte le Federazioni delle società calcistiche, ha proclamato il 4 maggio “Giornata mondiale del calcio”, in memoria proprio del Grande Torino. Un revival affidato alle sequenze selezionate del bel filmato curato da Enrico Stago, per narrare la splendida, ineguagliata ed ineguagliabile vicenda dei “granata scudettati campioni d’Italia”, la cui leggenda travalica la natura del fenomeno sportivo in sé, per assumere il profilo di parte integrante della storia generale del Bel Paese, alla luce della forza di coesione civile fatta lievitare dalla popolarità sia del calcio che del ciclismo, dopo i duri anni del conflitto, le cui sofferenze si acuirono ed esasperarono tra tante atrocità nella guerra civile che si combatté nelle regioni del Nord, conclusa nell’aprile del ’45 con la Liberazione dal nazifascismo.
Le tracce del revival nel filmato sul “Grande Torino”- proiettato nei locali del Circolo culturale L’Incontro – ed arricchito dalle dichiarazioni di testimonianza vissuta di Gianpaolo Ormezzano, Lino Cascioli, Antonio Ghirelli, popolari giornalisti di bella formazione culturale e limpida cifra stilistica, hanno fatto da prologo alla presentazione del romanzo “Arpad ed Egri” – edito da Graus- con la diretta partecipazione dell’autore Angelo Amato de Serpis, giornalista pubblicista, già corrispondente per l’area nolana de “Il Mattino” e de “Il Giornale di Napoli”, nonché collaboratore di Videonola, fondatore e presidente di “Meridies”, attivamente impegnato nella promozione e nella realizzazione di programmi e iniziative culturali sul territorio, tra cui si annoverano “Apriti Sesamo” e il celebre “Certame bruniano”, che catalizza nella città del filosofo degli “ Infiniti mondi” ogni anno la partecipazione di centinaia di studenti delle Scuole superiori e delle Università italiane e straniere.
CAMMINI PARALLELI E LA DEPORTAZIONE NEI LAGER . CON LA PACE DEL ’45 LA SQUADRA-MOSAICO DI EGRI E’ REALTA’
Cammini paralleli – evidenziava Amato de Serpis– sono quelli che compiono Arpad Weisz ed Elno Egri Erbstein, eccellenti calciatori e grandi allenatori, ungheresi di nascita e vita, ma anche ebrei. Espressione della Scuola di calcio di impronta danubiana, che coniugava la tecnica dei gesti atletici nella velocità e la spettacolarità che entusiasmava il pubblico, sovrapponendo i moduli del sistema con quelli del metodo, Arpad ed Egri in Italia plasmarono e modellarono il Bologna, “la squadra che il mondo tremare fa” e il “Grande Torino”, due capolavori di organizzazione di gioco in sincronia e con tante mirabolanti variazioni tattiche. Erano, però, ebrei- Arpad ed Egri– per retaggio familiare di molteplici generazioni.
Un marchio di umanità da negare, secondo le leggi razziali anti-ebraiche che il Consiglio dei ministri del regime monarchico-fascista approvò l’11 novembre del 1938, rendendole esecutive con immediatezza. E così l’aria italiana divenne irrespirabile per Arpad ed Egri, come per tanti di status ebraico, spesso del tutto ignari del proprio albero genealogico, ri-costruito, però, in tutte le ascendenze con certosina solerzia e vili delazioni dai funzionari – interessati agli scatti di carriera con incremento delle indennità stipendiali- sia delle burocrazie comunali sia degli speciali uffici di polizia addetti all’applicazione delle leggi razziali. Si moltiplicarono cosi intimidazioni, minacce ed ostracismi di varia forma, più o meno velata, mentre la stampa, facendosi cassa di risonanza e prezzolata del verbo anti-ebraico, veniva predicando le ragioni della “bonifica del calcio e dello sport” dalla presenza di stranieri, ovvero degli ebrei. Arpad ed Egri osannati ed acclamati dalla stessa stampa per la loro bravura fino all’emanazione delle leggi razziali, non venivano neanche più citati nelle cronache degli avvenimenti sportivi. Ma della “bonifica”- l’equivalente della “pulizia etnica” attuata qualche decennio fa in terra balcanica- proclamata nella proscrizione erano i diretti destinatari: erano gli unici ad essere attivi- da stranieri celebri- nel panorama calcistico italiano.
Per Arpad, la moglie e i figli come per Egri ci fu la cattura e la destinazione per Fossoli, il grande campo allestito dal governo mussoliniano per la “raccolta” degli ebrei italiani, resi privi dei diritti di cittadinanza, con le successive deportazioni nei campi di lavoro disseminati nei territori europei, controllati dalle truppe d’occupazione nazista. Arpad e i suoi congiunti nei gironi infernali delle deportazioni incontrarono la morte, che risparmiò Egri. Il racconto di Angelo Amato de Serpis focalizza le vicissitudini e le traversie affrontate dai due Maestri di sport, per soffermarsi sulla “costruzione” del Grande Torino, di cui, alla conclusione della guerra, fu “deus ex machina”, come lo definisce l’autore, proprio Elno Egri Erbstein, oggi si chiamerebbe general manager con ampi poteri tra cui quello di fissare i tempi e le modalità del taglio dell’erba del prato dello “storico” campo del “Filadelfia”, una denominazione grecizzata che dice tutto sull’essenza dello Sport, inteso come cultura e pratica di amicizia e fratellanza. E la spettacolarità del Torino, la squadra–mosaico, i cui giocatori provenivano da tutte le regioni italiane, era lo specchio dell’organizzazione manageriale della società, presieduta da un grande imprenditore, quale fu Ferruccio Novo. E va ricordato che per dieci undicesimi la Nazionale italiana è stata formata dai “Granata”. L’undicesimo era Amadeo Amadei, attaccante, che esordì all’età di 15 anni nelle file della Roma, di cui fu alfiere per vari campionati, prima di passare, all’Inter e al Napoli. Ma il meglio di sé lo espresse tra i giallorossi, tanto meritare l’appellativo di “Ottavo re di Roma” … che faceva il paio con l’altro appellativo “ Il fornaretto di Frascati”, essendo stato fin da bambino garzone del forno di panificazione gestito dal padre e dalla madre nella città laziale.
LE LEGGI RAZZIALI E LA LORO ESTRANEITA’ AL SENTIRE DEL POPOLO
Le chiavi ispiratrici delle leggi razziali del ’38 erano al centro delle riflessioni del professore Carmine Piscitelli, docente del Liceo statale polispecialistico “Albertini”. Un’analisi, per evidenziare la natura di stretto opportunismo e cinismo politico, con cui agì ed operò il regime monarchico-fascista, per “compiacere” il regime nazional-socialista della Germania hitleriana. Una scelta del tutto estranea- sottolineava Piscitelli– al pensare e al sentire comune del popolo italiano; scelta nutrita ed alimentata dalla propaganda di regime, con il supporto interessato non solo delle cosiddette élites culturali, ma anche dell’alto clero ecclesiastico, il cui pilatesco comportamento fu riscattato dall’agire di umili parroci, che si adoprarono per salvare la vita di tanti ebrei, evitando loro persecuzioni e deportazioni.
La rappresentazione del climax di violenza, instaurato dalle leggi razziali anti-ebraiche, apriva il tracciato, per evidenziare le aberrazioni dei fondamentalismi religiosi e dei totalitarismi politici, che hanno insanguinato il ‘900. Una scia di tirannie ideologizzate e di regimi dittatoriali, che non si è spezzata affatto con la conclusione del secondo conflitto mondiale, ma che si allunga nella contemporaneità, come attestano le tormentate vicende di tante realtà del Sud-Est asiatico, dell’America latina, del Medio Oriente, dell’Area balcanica, dell’Africa.
La cultura della pace nella libertà e nella giustizia senza popoli oppressori e popoli oppressi si rivela sempre più una pratica difficile da realizzare.
Una proficua e interessante opportunità di approfondimento e di conoscenza, quella fornita dalla presentazione del romanzo “Arpad ed Egri”; opportunità, che si è coniugata con l’esposizione di alcuni cimeli del piccolo Museo domestico, che Annino De Rosa ha dedicato al “Grande Torino”. Il buon Annino, che ha superato i settanta anni, è “torinista” … dalla nascita. E della “più bella squadra del mondo” conosce tutto, grazie ai canali d’informazione con tutte le “tifoserie” del Toro e di Tuttosport, il giornale che racconta in prevalenza la Torino sportiva, per non dire dei rapporti epistolari che ha sempre avuto con tutti i giocatori che nel corso degli anni hanno indossato la casacca “Granata”. E valgano per tutti, Gigi Meroni, funambolico ed estroso giocatore d’ala, prematuramente scomparso, e Giorgio Ferrini, difensore roccioso e di grinta straripante