di Gianni Amodeo
Ida Colella, Pierina Pandico, Gelsomina Verde, Ninetta Bartoli e Nilde Jotti. Cinque generalità identificative, corrispondenti ad altrettanti volti e profili ravvisabili, per lo più, in sbiadite e sfocate foto in bianco-nero, o nelle più recenti e meglio definite connotazioni a colori. Sono cinque storie personali, familiari e sociali che, pur distinte nella singolarità del vissuto esistenziale e delle contingenze particolari che ne costituiscono le coordinate di riferimento, si compenetrano e fondono tra loro negli stessi frementi aneliti e intensi slanci ideali per una vita degna di essere vissuta umanamente, così come venivano dispiegandosi, dopo le tragedie umane e le immani devastazioni materiali patite nella seconda guerra mondiale, anche se il loro cammino nel concreto realizzarsi e inverarsi nella libertà e nella giustizia non è stato mai agevole, come ancora non lo è.
E, calandoci nella specificità degli eventi che si diramano dal sofferto e tormentato contesto bellico, sono in particolare le storie incarnate da Ida Colella, Ninetta Bartoli e Nilde Iotti, a catalizzare attenzione e interesse ; donne di coraggio e forte tempra, Ida, Ninetta e Nilde, per le idee professate e praticate, le cui lezioni di vita e moralità hanno la giusta caratura per imprimersi nell’attualità del nostro tempo convulso e frenetico che rende labili e sfuggenti vicende e cose, assurgendo a tutto tondo e di netto a testimonianze di esemplarità etica, facendo, al contempo, da monito civile a costruire un mondo il più equo e solidale possibile per un’umanità che sappia conciliarsi con se stessa.
Si ritrova su questo piano di osservazione e riflessione, Ida Colella – originaria di Luogosano, piccolo ed accogliente Comune d’ Irpinia– una delle tante donne, ragazze e ragazzi vittime di stupro e atrocità che nella seconda guerra mondiale consumarono le truppe coloniali francesi nei territori dell’Italia centrale, incalzando l’esercito tedesco ormai allo sbando e in ritirata, tra il ’43 e il ‘44. Una triste e ignobile vicenda, quella delle marocchinate, di cui il film La Ciociara costituisce una lancinante e triste rappresentazione. E sulla scia delle violenze brute ed efferate subite dalle vittime delle marocchinate s’innerva l’esperienza di Antonietta – chiamata Ninetta- Bartoli, la prima donna eletta sindaco, in Italia, per il governo cittadino della sua Borutta, nel cuore della Sardegna profonda, pervasa da perenni suggestioni ancestrali.
Era il 1946, e per la prima volta alle donne era riconosciuto il diritto di elettorato attivo e passivo, esercitato nelle tornate di marzo-aprile e di ottobre-novembre dello stesso anno, mentre l’esito del referendum istituzionale con voto a suffragio universale del 2–3 giugno segnava la nascita della Repubblica. Era il profondo e radicale cambiamento dell’assetto di Stato, dal modello monarchico costituzionale a suffragio ristretto e per censo alla diarchia monarchico – fascista, per approdare alla democrazia repubblicana e liberale. In questa luce, Ninetta Bartoli è il simbolo di un’Italia nuova che vuole progredire ed emanciparsi. E che cosa rappreseti ed abbia rappresentato Nilde Iotti nell’azione politica e nelle istituzioni, per l’affermazione della democrazia e dei suoi valori, non è necessario di soffermarsi più che tanto. E’ il senso costruttivo dello Stato, che è anche soprattutto volontà di riscatto civile e di donne partecipi del bene comune, quello di cui si fanno portatrici e interpreti Ninetta Bartoli e Nilde Iotti nel favorire il progresso sociale, testimoniando, rispettivamente, gli ideali del popolarismo della Democrazia cristiana e del Partito comunista italiano. Sono storie che incrociano quelle di violenza e morte, di cui sono restate vittime Pierina Pandico, uccisa il primo gennaio del 1950, e di Gelsomina Verde uccisa nel novembre del 2004. L’assassinio di Pierina – era appena diciottenne- scosse e turbò fortemente le piccole comunità della Bassa Irpinia e, in particolare, di Baiano, dove viveva con la famiglia; il suo corpo senza vita fu rinvenuto su un dirupo di una stradina – ‘a Cupa– di collegamento con la vicina Sirignano. Terrificanti, le modalità di uccisione di Gelsomina – ventunenne- figlia di famiglia onesta e laboriosa, atrocemente torturata per vendetta nei cinici e brutali contesti di camorra di Scampia.
Le Cinque donne dell’incipit sono le destinatarie della prima titolazione declinata al femminile nella toponomastica cittadina, con provvedimento deliberato all’unanimità dall’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Enrico Montanaro, per iniziativa dell’assessore Antonella Crisci. E’ la titolazione, con rito evocativo che si svolgerà in mattinata – con inizio alle ore 10,00– nella storica Sala del Teatro comunale Colosseo, in stretta correlazione con la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
La conduzione dell’evento è affidata al professore Carmine Montella, con gli onori di ospitalità e indirizzo di saluto che saranno resi dal sindaco Montanaro, e introduzione sul significato della manifestazione che sarà sviluppata dalla dott.ssa Antonella Crisci. Previsti gli interventi del prefetto di Avellino, la dott.ssa Paola Spena, e dell’avv.ta Luigia Esposito.
A far da corollario, la premiazione del concorso Linguaggio del genere– seconda edizione- con la partecipazione delle classi vincitrici del Giovanni XXIII e gli interventi dell’avv. ta Giuditta Napolitano, assessore comunale, e del dirigente scolastico Pasquale Napolitano.
Reading di composizioni in tema: sarà proposto dalla poetessa Paola Miele. poesia