di Antonio Vecchione.
Lo sconcerto che si prova nel vedere gli alberi capitozzati, nudi e informi, non cancella la gioia di passeggiare, in questa stagione, lungo i viali della nostra villa, tra prati e alberi fioriti, immersi nelle varie sfumature di verde delle chiome degli alberi, quelli fortunati, che non sono stati sottoposti a trattamenti radicali di riduzione (e noi da semplici cittadini e inguaribili ottimisti speriamo e chiediamo una potatura rispettosa anche della bellezza). E’ comunque un privilegio per la comunità baianese poter usufruire di questo angolo verde a centro del paese, in genere ben tenuto e assistito, frequentato da persone rispettose, di ogni fascia d’età, in particolare da bambini e ragazzi. Possiamo dire che la villa, inaugurata con la cerimonia di piantumazione di alberi per i nati del 1993, è diventata, a pieno titolo, parte integrante dei costumi di vita baianesi, uno spazio “familiare”, un’oasi tranquilla, dove tutti si sentono a casa, sereni e sorridenti. Oltre ai giochi dei bambini e al passeggio tra i viali, i suoi spazi ospitano numerose manifestazioni diventate tradizionali appuntamenti popolari che richiamano appassionati anche da lontane comunità: la sagra della nocciola, esibizioni di ballo, serate di spettacoli musicali, tornei di calcetto e di altri sport, incontri culturali, e, non guasta, è anche punto d’incontro per i primi romantici corteggiamenti giovanili. Anche il movimento di Azione Cattolica, che negli ultimi anni è lodevolmente impegnato nel diffondere tra i giovani i valori Cristiani, ha percepito che la villa costituisce il “giardino di casa nostra” e ha inteso lanciare un messaggio di pace e di etica ambientale all’interno dei suoi viali piantando un ulivo accompagnato da un cartello con una sola bellissima parola: rifiorire. Una funzione, dunque, anche di promozione di valori civici, testimoniato anche da un’altra nobile funzione educativa come luogo della memoria. Una lapide ricorda i morti civili della seconda guerra mondiale e a breve troverà concretezza un altro progetto dell’amministrazione, annunciato il 21 marzo di un anno fa, il giorno nel quale si rende omaggio alle vittime innocenti della criminalità. A testimonianza dell’impegno civile della comunità, una targa sarà esposta in ricordo di Vittorio Rega, che fu assassinato per errore da sicari della camorra. Un’altra significativa cerimonia a cura dell’amministrazione comunale, si è tenuta il 28 marzo scorso. E’ stato piantato un albero di carrubo: una sorta di festa della primavera, che dovrebbe diventare un appuntamento annuale. La manifestazione è stata dedicata alla memoria di Ciccio Candela, baianese dal profondo dell’anima, un amico di tutti, politico sempre attivo in progetti di interesse pubblico e soprattutto storico ambientalista, fondatore nel 1987 della prima associazione “L’Aquilone”, finalizzata a sensibilizzare i cittadini al rispetto della natura. Il carrubo, una pianta di origine araba il cui nome originale è “Harruba”, in lingua napoletana è definita “sciuscella”, dal latino “iuscellum”, cioè “brodino” o “zuppa”; il nome è stato adottato per il carrubo per l’uso del frutto nella preparazione di estratti liquidi in distilleria e confetture. I suoi frutti, chiamati “sciuscelle”, sono baccelli grandi, spessi e cuoiosi, inizialmente verde chiaro prima di diventare con la maturazione marrone scuro. La superficie esterna è dura, mentre la polpa è carnosa e dolce.
La pianta di “sciuscella” si diffuse ampiamente nel mondo contadino per le sue caratteristiche. Una pianta rustica, longeva (vive per secoli), che non ha bisogno di particolare cura e cresce bene anche in terreni aridi. Ha un tronco robusto e un bel fogliame sempre verde, alla cui ombra, si trova frescura e ristoro nei mesi estivi. In periodi di particolare crisi, costituiva l’unico alimento disponibile che offriva possibilità di sopravvivenza. Questo portato culturale della pianta rappresenta bene la cultura e la sensibilità di Ciccio e della generazione post bellica. In particolare nel nostro territorio ebbe una preziosa funzione: i suoi frutti, ‘e sciuscelle, furono un indispensabile aiuto per sfamare i nostri cavalli. E’ rimasta nel nostro immaginario la scena dei cavalli, con le teste immerse nei sacchetti agganciati alle loro orecchie, che mangiavano crusca e avena, arricchite da notevoli quantità di “sciuscelle”. Anche noi ragazzi apprezzavamo questi frutti. In tempi di sacrifici e privazioni, il cioccolato o altri dolciumi costituivano un lusso non alla nostra portata. Ma non era un problema per noi ragazzi. E sciuscelle erano un ottimo surrogato e noi le mangiavamo avidamente quasi come “barrette di cioccolato”, sia per il colore che per il sapore. Il nostro auspicio è veder crescere questo “carrubo” a futura memoria per ricordare non soltanto Ciccio, ma anche come simbolo e memoria delle nostre radici contadine che traevano, da questa cultura arborea, il significato della loro vita e il modo di affrontarla con l’aiuto e la concretezza che deriva dal rispetto della natura.
PS: La larga diffusione di questi frutti ha determinato, all’epoca, un cambio di significato del termine “Sciuscella” che è entrato nella cultura popolare col significato di fragile, poco durevole, di “scarsa qualità”. “E’ na sciuscella” si dice di persona macilenta e smagrita, che si regge in piedi a fatica.