di Antonio Vecchione
Stamattina, 13 dicembre, S. Lucia, alle 05.30, come da secolare tradizione, è stata celebrata la prima “messa ‘e notte” in un’atmosfera profondamente diversa. Non c’è la banda ad intonare i brani tradizionali per accompagnare il rito, non c’è il clima entusiasta dei giovani che festeggiano prima e dopo la Messa sfilando per il paese. I fedeli in mascherina, ridotti di numero dalla pandemia, siedono mestamente distanziati tra i banchi semivuoti. Non possiamo abbracciarci. E’ una rinuncia dolorosa. Il piacere di ritrovarsi davanti all’altare di S. Stefano, nostro Protettore, è intriso di un velo di tristezza. Sembra risuonare tra i banchi della Chiesa il “Noli me tangere”. Solo gli occhi ci permettono di comunicare, di guardarci nel profondo, di capire attraverso gli sguardi quanto sia importante la presenza di ciascuno di noi per l’altro, di ritrovare quella sicurezza e solidarietà che ci fa essere una comunità unita intorno alle tradizioni e alle nostre radici, di cercare di leggervi reciprocamente un sentimento di speranza, di percepire quella “gioia” che, come ha predicato don Fiorelmo, poggia, per chi ha Fede, sulla certezza di Cristo. E su questa certezza dovremo vivere il nostro Natale, sacrificando i nostri riti tradizionali anche per rispetto delle famiglie distrutte dal dolore per le decine di migliaia di morti per pandemia.