di Gianni Amodeo
E’ stata una testimonianza di attiva partecipazione, quella espressa dalla comunità parrocchiale cittadina, nella Chiesa di Santo Stefano, nel rendere onore e omaggio al ricordo di don Francesco Picciocchi nel trigesimo della scomparsa; una testimonianza, vissuta con intensità ed animata dalla concelebrazione eucaristica, presieduta dal vescovo di Nola, monsignor Francesco Marino, con officianti don Fiorelmo Cennamo, don Arcangelo Iovino, don Angelo Schettino, con il contrappunto della lettura fatta da Antonio Tulino di un brano estratto dal libro del profeta Isaia, mentre al diacono Franco Polo era affidata la lettura dei versetti del Vangelo di Matteo, che raccontano l’episodio di Gesù che attraversa di sabato il campo di grano in maturazione e i discepoli che lo seguono, affamati, colgono alcune spighe e le mangiano. Un episodio, il cui racconto viene riprodotto nelle parti basilari – e se ne ringrazia la dott.ssa Marica Fiordellisi per la trascrizione insieme con uno le parti più significative dell’omelia pronunciata dal vescovo Marino– che suscita lo sconcerto dei farisei che si rivolgono a Gesù con tono d’astiosa accusa e rimprovero, dicendo: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato ( n.d.r.: giorno dedicato al Signore)».
Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma solo ai sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio violano il sabato e, tuttavia, sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici“, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è Signore del sabato».
E nell’introdurre l’omelia, il presule si soffermava sul ruolo della Chiesa, sposa di Cristo, madre dei figli di Dio, in cui esercitano il loro ministero, attraverso la Pietas cristiana, donando la loro vita al servizio ecclesiale, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, esprimendo in tal modo la sollecitudine del Signore e imprimendo nella loro vita un segno permanente dell’amore di Cristo Gesù. Era il passaggio, con cui Marino evidenziava che i sacerdoti, hanno nella loro vita la missione di condurre il popolo di Dio nel cammino della vita seguendo Gesù Cristo e proprio “seguendo Gesù Cristo, noi come Gesù passiamo dalla morte alla vita”.
Nel richiamare l’episodio raccontato dal Vangelo, il vescovo Marino ne focalizzava l’attualità, pur trattandosi di contesti diversi e distinti nei tempi e nei costumi sociali, che riveste la frase ” Misericordia voglio e non sacrifici“, il cui significato si ritrova nell’evidenziare che “Gesù è ebreo e discendente di Abramo ed Isacco, è figlio di Maria donna ebrea e vive la spiritualità nella tradizione degli ebrei. Per gli ebrei tutta la vita religiosa si concentra intorno al tempio con le ritualità e formalità che lo caratterizzano. Gesù nella narrazione di Matteo richiama,invece, il senso vero del tempio; senso, per il quale non conta il sacrificio materiale, qual era considerata, ad esempio, l’uccisione degli agnelli, praticata come manifestazione di culto nei dettami dell’Antico testamento; quel culto che – spiegava il presule- potrebbe diventare culto esteriore, se non fosse correlato con il valore dell’amore per il prossimo e della vita; valore, che si traduce nel vivere la vita nella fede ch’è l’essenza stessa della relazione con Dio”.
E’la prospettiva, per la quale la Misericordia cristiana si vive nella sua essenziale e coerente pienezza, se si traduce e concretizza sia nella professione che nella pratica dei valori di giustizia, carità e amore verso i poveri, i meno abbienti e i sofferenti. E’ la condivisione dell’umana condizione che non discrimina e non emargina, ma include e vivifica,permettendo di dare agli altri quello e quanto si può di se stessi. Il rigido formalismo ostentato e dichiarato dai farisei è superato e vanificato dalla trasgressione di Gesù, per il quale il bene della persona prevale sulla la legge del sabato, di cui va interpretato e vissuto il senso, ch’è il valore dell’umanizzazione del lavoro e della fede vissuta con sincerità e senza vuote ostentazioni.